In-Contro di Civiltà: le complesse relazioni tra Oriente ed Occidente

Domenica 8 maggio, presso il Caffè Letterario “Le Murate”, si è tenuta la prima di un ciclo di conferenze dal titolo “In-Contro di Civiltà: le complesse relazioni tra Oriente ed Occidente”. Le “mini conferenze” in questione si sono svolte in occasione della Notte Blu, organizzata dall’Europe Direct Firenze, la quale è ormai giunta alla VII edizione. Gli ospiti di questa prima giornata sono stati Giulio Di Blasi, funzionario della Commissione Europea-Direzione Generale immigrazione, il nostro professor Luciano Bozzo e il professor Franco Cardini, esperto di storia medioevale.

Di Blasi ha fornito un resoconto del ruolo concreto dell’Unione Europea rispetto ai flussi migratori e quella che è la sua nuova agenda in proposito: fornire strumenti per comprendere cosa stia attualmente accadendo, a prescindere dagli slogan politici. Egli sostiene inoltre che l’obiettivo dell’Unione , a partire dal settembre del 2015, sia di mettere in atto una vera politica migratoria, dal momento che si è ormai diffusa la consapevolezza che gli Stati membri non possano essere lasciati da soli ad affrontare la crisi attuale, in quanto privi degli strumenti adeguati.

L’errore comune è quello di trattare questo argomento come se riguardasse unicamente i Paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo, quando in realtà si parla di masse di persone in movimento su tutto il territorio europeo. La premessa su cui si basa questa specificazione è la tendenza presente nei Paesi dell’Europa orientale a voler rimanere fuori dalle politiche di immigrazione, vuoi per questioni storiche, vuoi per questioni culturali. Tuttavia, l’agenda Europea si propone di ribaltare questa tendenza e coinvolgere tali Stati in una politica di compartecipazione e redistribuzione a livello europeo delle persone che arrivano in Italia o in Grecia, diretti verso altri Paesi, i quali possono essere anche dell’Europa orientale. Tale procedimento comporterebbe inoltre la possibilità di garantire l’opportunità legale agli immigrati di essere riconosciuti ed accolti.

Inevitabile è il gap politico che si crea tra i vari Paesi europei. La Commissione ha risposto a ciò con una politica comune d’asilo, la quale comporta tuttavia una serie di problemi in quanto si riconosce la mancanza di capacità da parte degli Stati di agire. Ne consegue che un altro obiettivo dell’Unione Europea è dunque quello di investire nella gestione delle frontiere comuni. Tutto ciò appare molto teorico, in particolare davanti alle percezioni dell’opinione pubblica rispetto a ciò che accade in Grecia o in Italia nel momento in cui diventa necessario gestire un flusso enorme di persone in entrata.

Di Blasi ci tiene a sottolineare che si tratta solo di percezioni, e che in realtà l’Europa c’è ed agisce. In particolar modo attraverso Frontex, la quale ad oggi gestisce 700 funzionari europei nell’arcipelago Greco, i quali si occupano di registrare le persone che sbarcano sulle diverse isole. A proposito di ciò Di Blasi si sofferma sull’accordo tra Europa e Turchia, il quale prevede che chiunque arrivi da quest’ultimo sulle coste greche possa fare domanda d’asilo; questa verrà poi valutata dai funzionari europei presenti sul territorio, i quali dovranno riconoscere o meno la presenza di condizioni tali da poter accettare la domanda. Dunque il riconoscimento della protezione può avvenire o no, a seconda che ne sussistano le condizioni. Questo meccanismo ha ridotto drasticamente gli arrivi giornalieri in Grecia.

L’accordo con la Turchia implica uno spostamento delle rotte migratorie verso il Mediterraneo centrale, il che fa prospettare un’estate intensa per l’Italia a causa. E’ inoltre da considerare il peggioramento delle condizioni politiche in Libia, le quali si traducono in un conseguente peggioramento delle condizioni di trasporto delle persone, le quali potrebbero ritrovarsi disperse in mare già a sole 30 miglia dalle coste libiche, in acque territoriali dove l’intervento di recupero da parte delle navi italiane potrebbe essere causa di scontri diplomatici.

Di Blasi ha poi esposto le ultime proposte della Commissione, sviluppate tra gennaio e la prima settimana di maggio, le quali riguardano:

  1. La trasformazione di Frontex in un corpo di guardie transfrontaliere con maggiore indipendenza a livello organizzativo.

  2. Rafforzamento dell’Agenzia europea per l’asilo, attraverso un meccanismo innovativo che modifichi il Trattato di Dublino, tramite la redistribuzione automatica dei migranti tra i Paesi membri oltre un certo numero di arrivi nello Stato di primo ingresso.

La Commissione, come sostenuto da Di Blasi, non nasconde la sua volontà di rafforzare il ruolo di governo che l’UE dovrebbe svolgere.

L’intervento del Professor Bozzo si è focalizzato sulla teoria contenuta nel testo di Samuel Huntington “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.” (1996), testo successivo all’articolo dello stesso autore, apparso nel 1993 su Foreign Affairs e che attirò l’attenzione della critica e dei politologi in tutto il mondo.

Il Professore procede con un excursus storico, considerando il primo articolo pubblicato da Huntington come una risposta a numerosi eventi dell’epoca. Innanzitutto, nel 1991 si concludeva la Guerra del Golfo, nel 1992 veniva firmato il Trattato di Maastricht e veniva elaborata la teoria di Fukujama. Tale teoria sosteneva che quanto accaduto tra 1989 e 1991 rappresentasse la fine della storia, dal momento che la fine della Guerra fredda risolveva l’ultimo grande conflitto ideologico del ‘900 e a questo non avrebbe fatto seguito un nuovo conflitto del genere; nel panorama politico internazionale, infatti, non era previsto che si potesse affermare un modello diverso rispetto a quello liberal-democratico, considerato come modello ideale. Si verificano quindi degli eventi che portano Huntington a riconoscere il cambiamento strutturale post Guerra fredda e l’affermazione di un sistema internazionale basato su un nuovo tipo di conflitto: quello tra le civiltà.

Il nuovo soggetto che emerge da questo periodo storico è la civiltà, la quale sostituisce gli attori principali precedenti, prima imperi, regni, poi Stati Nazionali, poi ideologie.

Huntington paragona la politica internazionale alla teoria della tettonica a zolle, mutuando il più famoso modello geofisico: quando civiltà diverse vengono in contatto, si scontrano tra loro creando delle linee di faglia lungo le quali si genera il conflitto.

Le civiltà riconosciute da Huntington sono:

  1. Giudaico-Cristiana

  2. Salvo-ortodossa

  3. Islamica

  4. Indù

  5. Confuciana

  6. Giapponese (unico caso in cui una civilizzazione corrisponde ad uno Stato Nazionale)

  7. Latino-americana

  8. Africana (in proposito di questa l’autore ha qualche dubbio)

Il fatto che gli scontri siano di natura culturale, porta l’autore a riflettere sul ruolo della globalizzazione, pensando che questa non generi solo vantaggi, ma anche svantaggi, attriti e confronti: dalla reciproca conoscenza non si riducono i conflitti, anzi, aumentano. La globalizzazione ha anche portato un altro effetto, ossia, il tramonto della civiltà occidentale in seguito al processo di de-occidentalizzazione.

Le élites dei Paesi non occidentali, da sempre, si sono formate nelle università e nei centri di cultura occidentali, arrivando ad assorbirne la logica ed i modelli di riferimento.

Le cose sono cambiate ad oggi, poiché le élites di questi Paesi continuano a formarsi in Occidente, ma ne rifiutano i modelli e la logica poiché questo viene visto come il “grande satana”. Il professore sostiene che la logica Occidentale, per sua natura, sia dirompente rispetto alle altre, perciò diventa un pericolo mortale per le civiltà che non ne fanno parte, le quali basano sempre più la loro esistenza sulla tradizione, sulla radicalizzazione, sulla “corsa verso il tutto” che si contrappone alla “corsa verso il nulla”, concetto ripreso dal professore dall’omonimo libro di Sartori: l’Occidente corre verso il nulla e l’ “altro” reagisce con il ritorno al radicalismo derivante dalla paura.

L’incontro si conclude con il contributo di Francesco Cardini, professore, blogger, storico e scrittore, il cui ultimo sforzo letterario è intitolato “Dalle crociate all’Isis”. Egli apre la sua discussione dichiarandosi concorde con alcuni punti messi in luce dall’analisi del Professor Bozzo, infatti riprende il discorso da dove lui ha concluso, andando oltre la teoria di Huntington e concentrandosi sull’idea che nulla che possa fermare la civiltà occidentale, la quale ancora oggi è la più forte, la più ricca e la meglio armata.

Tale civiltà è caratterizzata dalla modernità che Bauman definisce “solida”, infatti Cardini afferma che quella che stiamo vivendo è l’era del post-modernità, intesa come messa in discussione di certi valori che in Occidente si possono delineare con chiarezza. L’evoluzione verso la post-modernità non è affatto il compimento deterministico dell’avventura dell’umanità, in quanto ciò ci farebbe giungere ad un assunto: l’Occidente moderno è la norma ed il meglio che l’uomo abbia mai prodotto. Questo tuttavia è un’idea persistente solo nelle menti di coloro che appartengono a tale civiltà.

Il problema è: di cosa parliamo noi occidentali moderni? Chi siamo? Noi siamo il risultato dell’incontro tra una serie di pre-condizioni biologiche, storiche, climatiche e culturali e della volontà di gruppi e di persone. Nulla accade perché deve accadere, la storia non ha un senso: questa è l’ultima desolante conclusione a cui è giunta la modernità, poiché essa è la rivoluzionaria eliminazione del senso da dare ai grandi problemi dell’esistere.

La vita, secondo Cardini, aveva un senso nell’Europa cristiana, quando le necessità erano: salvare la propria anima, a livello individuale, e trovare l’equilibrio nella società cristiana. Secondo lo storico, ad oggi tutto questo viene adombrato dalla modernità, così come è ormai andata persa l’idea di cosmo di Galileo, di Tommaso d’Aquino, di Newton, inteso come un grande essere animato dove le parti discutono tra loro. L’assenza di senso lascia unicamente davanti a noi la volontà di potenza, che si traduce con l’eliminazione della causale metafisica, ossia, fare a meno di Dio, il quale non fa parte della modernità.

Cardini parafrasa Papa Wojtyla, secondo il quale la modernità ha tolto la lettera D alla parola DIO, lasciando unicamente l’IO, l’ego, l’individualismo, da cui derivano la ricerca del primato economico, tecnologico e culturale. La modernità solida di Bauman è dunque messa in discussione, in quanto è sempre più corale ed aumenta la schiera di chi è insoddisfatto: si passa dalla modernità concreta alla modernità in cui l’obiettivo è il conseguimento della felicità.

Le nostre concezioni nell’era della modernità sono differenti, ma secondo Cardini si può concordare sul fatto che non ha fornito all’uomo la felicità, anzi come diceva Freud, ha aumentato la nostra libido, il nostro bisogno, il desiderio di ottenere sempre più, la volontà di potenza come ricerca di nuovi saperi e poteri. Il limite può essere descritto con ciò che i sociologi chiamano “paniere dei consumi”, ossia la ricerca di qualcosa di sempre maggiore rispetto alle nostre possibilità: vogliamo sempre di più, desideriamo sempre di più. Lo storico propone di riflettere su come i limiti vengano sempre superati dall’uomo occidentale; egli usa le parole di D’Annunzio per spiegare il suo punto di vista, “la più gran gioia è sempre all’altra riva”. Ecco perché l’Occidente è fatto di scopritori, esploratori, navigatori e la modernità è perdita volontaria del limite. Ma può questa aver reso l’uomo libero? Cardini si chiede se le quattro libertà di Wilson, libertà di pensiero, d’azione, del bisogno e dalla paura, siano conquiste di questa epoca. La risposta che si dà è negativa: l’uomo post-moderno vive nella paura.

Arrivando al punto centrale della sua argomentazione, Cardini afferma che il fatto che il rapporto tra mondo islamico e mondo cristiano si sia anche basato sulle crociate è una verità storica, ma non è giusto dire che l’eterno scontro derivi da ciò. La logica delle crociate era profondamente diversa rispetto a ciò che oggi si intende quando si parla di esse: infatti ve ne furono poche, stagionali, di breve durata e con grandi distanze temporali tra loro. Ciò che deve far riflettere, secondo lo storico, è che fino a metà ‘800, gli Arabi non sapevano che i Cristiani definissero “crociate” tali scontri, quando ne vennero a conoscenza, iniziarono a vedere l’Europa occidentale come un soggetto che aveva il solo scopo di assoggettarli. Prima di allora, secondo il professore, si può parlare di una grande scambio culturale tra Cristiani ed Arabi, che ha avuto il suo picco sotto Carlo Magno; fu infatti questo che portò alla rinascita del ruolo centrale del Mediterraneo. Da ciò si può ricavare una lettura alternativa dei rapporti più antichi e profondi tra Arabi ed Occidentali, non per forza di eterno scontro ma anche di scambio.

Giovanna Perugino