Il conflitto in Nagorno-Karabakh: un conflitto congelato per sempre?

Il 2 aprile, ormai per l’ennesima volta negli ultimi anni, è precipitata la situazione in Nagorno-Karabakh, dando vita ad una nuova spirale di violenza che ha lasciato morti più di 50 persone fra armeni ed azeri, il numero più alto di vittime dopo la fine della fase attiva del conflitto nel 1994. Lo scontro tra le forze armate dell’Azerbaijan da una parte e del Nagorno-Karabakh, uno stato non riconosciuto internazionalmente, e l’Armenia dall’altra parta, è finito dopo quattro giorni (anche se si verificano ancora diverse violazioni della tregua) grazie alla mediazione del Gruppo di Minsk e della Federazione Russa, acquistando preminenza nel campo visivo dei governi regionali e risollevando la necessità di una veloce soluzione del conflitto.

Da un punto di vista storico, il Nagorno-Karabakh ha sempre avuto una forte componente armena: la regione faceva parte del Regno d’Armenia già più di duemila anni fa. A causa di una costante sottomissione alle grandi potenze regionali, nel corso della storia la percentuale della popolazione armena nella regione è notevolmente calata, giungendo a recuperare la propria composizione etnicha solo dopo l’adesione al cristianissimo Impero Russo: così, nel 1897, il 42% della popolazione del Nagorno-Karabakh era armena.

Le radici del conflitto moderno nella suddetta regione possono essere rintracciate sin dal primo dopoguerra quando, nel biennio 1918-1920, si verificarono i primi scontri tra le truppe dell’Armenia e dell’Azerbaijan per il controllo del Nagorno-Karabakh, popolato prevalentemente da armeni. Con l’avvento al potere sovietico nella regione del Caucaso il Nagorno-Karabakh fu assegnato a Baku, seguendo la vecchia logica di divide et impera, gettando così le basi per il futuro conflitto.

Durante l’epoca sovietica le contraddizioni tra armeni e azeri, come tante altre controversie etniche, vennero oscurate dalla parvenza di unità ideologica. Tuttavia, nel momento in cui nelle strutture statali che tenevano insieme tanti popoli affiorarono i primi segni di spaccatura e si verificarono i movimenti centrifughi nelle periferie del colosso sovietico, i conflitti etnici, finora dormienti, vennero alla luce dando un’ulteriore scossa alla stabilità della regione. Uno di tali conflitti fu quello che ebbe luogo in Nagorno-Karabakh, dove dopo un lungo periodo di manifestazioni e fermento politico scatenati dalla glastnost’, all’inizio del 1990 cominciò un vero conflitto militare. Al referendum del 10 dicembre del 1991 il 99% della popolazione votò a favore dell’indipendenza dall’Azerbaijan (la maggior parte degli azeri locali aveva ormai abbandonato il territorio o si astenne dalla votazione). Con il crollo formale dell’URSS, che non aveva più alcun potere di limitare l’aggravarsi della crisi, nella regione del Nagorno-Karabakh si scatenò una guerra a pieno titolo tra l’Armenia e l’Azerbaijan, la quale costò la vita ad almeno ventimila persone.

Nel 1994, dopo una serie di trattative diplomatiche, fu finalmente firmato il cessate il fuoco, che sanzionò, in pratica, la vittoria delle truppe armene e l’indipendenza de facto del Nagorno-Karabakh, trasformando la guerra in un conflitto “congelato”. Il compito di sanare le contraddizioni e porre definitivamente fine alle tensioni fu assegnato al cosiddetto Gruppo di Minsk, creato precedentemente nel 1992 sotto l’egida dell’OSCE e guidato da una co-Presidenza composta da Francia, Russia e USA. Nell’arco di vent’anni il Gruppo lanciò una serie di proposte destinate a risolvere la situazione, tra cui vanno sottolineati i Principi di Madrid (2007), che stabilirono, fra gli altri, la necessità di restituzione dei territori adiacenti al Nagorno-Karabakh all’Azerbaijan, la creazione di un corridoio per connettere l’Armenia al Nagorno-Karabakh e la determinazione dello stato legale della regione a seguito di una scelta autonoma della popolazione.

Tuttavia, nonostante numerose iniziative, il conflitto persiste ancora oggi e tende ad acuirsi, come è successo all’inizio d’aprile. Purtroppo è innegabile l’incapacità del Gruppo di Minsk nel raggiungere il suo obiettivo, per un motivo alquanto semplice: qualsiasi soluzione dell’equazione diplomatica provocherà il malcontento in uno dei due paesi. In effetti, nel caso ci sia un referendum in Nagorno-Karabakh a cui partecipi solo la popolazione locale, l’Azerbaijan non sarà mai d’accordo col suo esito scontato, ed invece, nel caso contrario, se prenderà sopravvento il principio di integrità territoriale, l’Armenia sarà difficilmente favorevole ad una soluzione del genere. Tutto questo rende molto incerta una via d’uscita diplomatica.

Diventano invece sempre più probabili, fomentate da un’intensa propaganda, soluzioni date dall’uso della forza militare, popolarissime nell’establishment azero, dove sono ancora molto forti i sentimenti di revanche dopo la sconfitta della guerra. Oggigiorno l’Azerbaijan, un paese tarmato da inefficienze e corruzione endemica, sta affrontando dei gravi problemi economici, con la crescita del Pil estremamente lenta e con una recessione nel settore industriale dovuta al calo drastico dei prezzi del petrolio e del gas, che ammontano al 95% delle esportazioni del paese. In questa situazione per l’elite azera la ripresa del Nagorno-Karabakh sarebbe fondamentale nel riacquisire il sostegno del popolo, spostando la sua attenzione dalla travagliata narrativa interna ad una questione esterna.

La prospettiva militare, sempre più probabile nella situazione in cui gli sguardi di tutto il mondo sono rivolti ad altri conflitti, sembra estremamente pericolosa se si considera il contesto geopolitico intorno al conflitto. L’Armenia, nonostante le crescenti critiche verso la Russia per il suo ruolo passivo nella crisi attuale e le esportazioni delle armi all’Azerbaijan, è un suo fido alleato, facendo parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), che è, di fatto, un’alleanza militare. L’Azerbaijan, a sua volta, gode del sostegno della Turchia, che ha tradizionalmente appoggiato il suo vicino caucasico per motivi di vicinanza etnico-culturale e linguistica. Sullo sfondo di un peggioramento notevole dei rapporti bilaterali tra la Russia e la Turchia, in seguito all’abbattimento del jet russo novembre scorso, e la successiva introduzione delle sanzioni da parte della Russia contro la Turchia, è difficile escludere una limitata proxy war tra i due paesi, uno scenario definitivamente poco desiderato dai loro leader.

Cionondimeno, l’unica alternativa ad un’altra guerra con conseguenze imprevedibili, che resta a disposizione dell’Armenia e l’Azerbaijan, sarebbe trovare un’intesa diplomatica, che potrebbe essere raggiunta solo se tutte e due delle parti faranno dei sacrifici e rinunceranno alle loro posizioni intransigenti. Ad oggi, questa è, come già detto, una strada difficile da seguire, ma a questo punto dovrebbe essere chiaro che un conflitto congelato come quello del Nagorno-Karabakh non può rimanere congelato per sempre: o sarà risolto o scoppierà con nuova forza.

Alexander Bibishev