Coup de théâtre: l’affaire Sarkozy e le relazioni storiche tra Francia e paesi arabi

di Riccardo Roba

 

Qualche settimana fa, Oltralpe e non solo, ha destato scalpore la notizia dello stato di fermo dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. L’arresto temporaneo e l’interrogatorio a cui è stato sottoposto per qualche ora non giungono come lampi a ciel sereno, poiché sono frutto di un’indagine aperta già nel 2013. L’accusa è quella di aver ricevuto dal regime libico di Gheddafi dei finanziamenti illeciti, per la propria campagna presidenziale, che lo portarono all’Eliseo nel 2007. Questo fatto, grave se confermato, dimostrerebbe però che i legami tra la Francia e il mondo arabo-musulmano sono ancora oggi forti, non solo per le tensioni interne che abbiamo tragicamente conosciuto negli ultimi anni, ma anche nei rapporti di relazioni esterne (economia, politica, ecc..).

Senza scomodare i 130 anni di occupazione francese dei territori algerini[1], o la stessa guerra d’Algeria, o ancora gli accordi segreti di Sykes-Picot del 1916 firmati tra Regno Unito e la stessa Francia, questo articolo ripercorrerà il ruolo che ha avuto Parigi in una serie di scenari di crisi nella regione mediorientale-nordafricana, nella stagione della V Repubblica.

 

Una delle numerose anime della Francia è stata, e rimane, la vocazione da potenza del Mediterraneo. Negli anni immediatamente successivi alla crisi di Suez (1956), la Francia cooperò strettamente con quello che era stato uno dei suoi alleati contro l’Egitto: Israele[2]. Senza giungere mai ad un’alleanza formale, Francia e Israele si avvicinarono di misura: Parigi rimase il primo fornitore d’armi a Israele almeno fino al 1962, quando l’embargo statunitense nei confronti dello stato ebraico cadde. Segno di tale conciliazione  sono diverse circostanze: una frase del 1960 del Presidente De Gaulle, ad esempio, il quale, durante una visita di Stato del capo di governo israeliano David Ben Gourion, lo definì “il più grande uomo di stato di questo secolo”; o ancora, il fatto che questi due paesi, negli anni successivi al 1957, collaborarono segretamente e contro la volontà degli USA, allo sviluppo dell’arma nucleare[3].

Questo sbilanciamento a favore di Israele, tuttavia, non coincideva esattamente con il disegno della V Repubblica di rilancio della “grandeur” francese, che era invece proprio della visione di De Gaulle. Una volta conclusasi la guerra d’Algeria – evento che portò alla rottura temporanea tra la Francia e i paesi arabi; lo stesso Egitto di Nasser sostenne l’armamento dell’algerino FLN[4] – la diplomazia francese si mosse per riavvicinarsi al mondo arabo e favorire la coesistenza pacifica nella regione, ristabilendo un legame privilegiato con il Libano (paese francofono, con una serie di convenzioni), ma riallacciando relazioni anche con altri, come l’Egitto. Le crescenti tensioni nella regione mediorientale, però, remavano contro tali sforzi: la Guerra dei 6 giorni (5-10/06/67) decretò il definitivo allontanamento di De Gaulle da Israele, il vero vincitore di questo scontro bellico, che umiliò militarmente gli avversari. Allontanamento che si sarebbe trasformato in rottura totale l’anno successivo con l’attacco israeliano all’aeroporto di Beirut (dicembre 1968). Garante dell’indipendenza del Libano, la Francia inaugurò qualche mese più tardi un embargo totale sulla vendita di armi ad Israele e un riavvicinamento sostanziale ai paesi arabi[5].

 

Durante la guerra dello Yom Kippur (1973), le posizioni francesi andarono addirittura oltre: Parigi sostenne apertamente il campo arabo, com’è facilmente intuibile dalle dichiarazioni dell’allora ministro degli affari esteri Jobert, che riteneva legittima la volontà di Egitto e Siria di riappropriarsi dei territori perduti 6 anni prima – ciò permise alla Francia di essere uno dei pochi paesi occidentali ad essere risparmiato dall’embargo sul petrolio dell’OPEC[6].

Durante poi il settennato della presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, le tensioni tra Francia e Israele aumentarono, tanto che il presidente francese non si recò mai, durante il proprio mandato, a Tel Aviv. Inoltre, in questi anni (ottobre 1975), l’OLP aprì un ufficio di rappresentanza proprio a Parigi, e la stessa Organizzazione ricevette un forte sostegno da parte della Francia perché le fosse riconosciuto lo status di osservatore presso l’ONU. L’Eliseo, durante il Consiglio Europeo a Venezia nel giugno 1980, riuscì addirittura ad allineare i 9 Paesi della CEE sulla difesa del diritto dei palestinesi ad avere uno Stato, a fianco di quello d’Israele.

Quando poi, nel 1981, a Parigi venne eletto il primo presidente socialista, questi si volle impegnare per riequilibrare una politica estera divenuta troppo pro-araba. In effetti, anche nella sua storia politica prima dell’Eliseo, Mitterrand si definì sempre “amico d’Israele”: fu anche il primo presidente francese della V Repubblica a recarsi in visita ufficiale proprio in Israele (marzo 1982). Non mancarono tuttavia numerose contraddizioni nell’azione d’Oltralpe: nel discorso che il presidente tenne davanti alla Knesset, l’assemblea parlamentare israeliana, Mitterrand espresse sia il diritto di Israele alla sicurezza, sia il diritto dei palestinesi ad un proprio Stato sui territori occupati e Gerusalemme Est. Inoltre, nell’esecutivo di governo sotto la presidenza Mitterrand, numerosi furono i ministri notoriamente a favore di posizioni pro-arabe (il ministro degli affari esteri Cheysson, il ministro della difesa Chevènement). Non vennero neanche risparmiate diverse critiche francesi nei confronti di Israele, in occasione, ad esempio, dell’invasione del Libano (giugno 1982): in quei mesi, la stessa marina francese partecipò all’evacuazione di Beirut, che trasse in salvo diversi militanti dell’OLP[7].

Durante il suo secondo mandato, Mitterrand virò ulteriormente verso le istanze palestinesi: ne fu espressione, ad esempio, la visita ufficiale di Arafat a Parigi, nel maggio 1989. Questa inflessione però pregiudicò la posizione francese di mediatore nei processi di pace: Parigi, infatti, non fu centrale né durante la conferenza di Madrid (1991) né per gli accordi di Oslo (1993).

Quest’ambivalenza rimase viva anche sotto la presidenza Chirac, anzi, venne acuita dalla coabitazione col Primo Ministro Jospin, che definì gli Hezbollah “terroristi”. Giungendo finalmente poi alla presidenza che dà il titolo a questo articolo, non molto cambiò con l’arrivo di Sarkozy all’Eliseo, nonostante la sua retorica pro-israeliana. Sotto la sua presidenza, tuttavia, il progetto di unione per il Mediterraneo riprese vigore; e venne inaugurata una nuova base militare francese ad Abu Dhabi nel 2009. Come ben sappiamo, poi, verso la fine del suo mandato, Sarkozy fu il più ardente sostenitore, nonostante un presidente americano più temporeggiatore, e un alleato importante come l’Italia più di traverso, di un intervento occidentale[8] nei cieli libici, per stravolgere il regime di Gheddafi[9]. Ed è proprio per questo fatto che le accuse mosse in queste settimane all’ex inquilino dell’Eliseo suonano ancora più beffarde.

Quando Hollande divenne presidente ereditò le difficili conseguenze delle primavere arabe, che avevano sconvolto tutta la regione nordafricana-mediorientale. Tale contesto non permise alla Francia di essere davvero efficace nella propria azione: l’intervento in Siria e in Iraq contro l’Isis è emblematico, poiché i bombardamenti francesi dal 2013 in poi, sono da ascrivere alla coalizione internazionale contro il terrorismo islamico, dove Washington era il vero capofila, e Parigi copriva semplicemente gli attacchi suppletivi.

 

La “grande politique arabe” che Parigi ha portato avanti fino almeno all’inizio del nuovo millennio è stata dovuta anche a diversi fattori: dal 1967 una lobby pro-araba molto influente in seno dell’apparato decisionale francese si è consolidata. Questa poteva contare su numerosi diplomatici molto autorevoli al Quai d’Orsay, come il già citato Jobert, prima Segretario Generale dell’Eliseo sotto Pompidou, poi ministro degli esteri. Non solo politica però, ma anche molta economia[10]: un altro uomo chiave fu Pierre Guillaumat, già ministro della difesa tra il 1958 e il 1960, ma anche fondatore di Elf Aquitaine (poi Total) e presidente dell’Union Générale des pétroles. Eloquente potrebbe essere la visita all’Eliseo, per esempio, del presidente iracheno Abdul Rahman Arif, nel febbraio 1968: quell’incontro fu seguito dalla firma di una grande commessa d’armi francese verso l’Iraq, di un accordo per la formazione di ufficiali iracheni in Francia e di un importante contratto petrolifero proprio per il gruppo Elf Aquitaine.

Oltre al Medioriente, la Francia ha da sempre costruito e stretto legami di vari genere coi regimi arabi ultra-conservatori, compresi quelli del Golfo: allo stesso regime libico di Gheddafi, negli anni che furono, Parigi continuò a vendere armi, provocando le ire dei propri alleati come USA e Israele. L’Eliseo però è riuscito anche a costruire una politica mediterranea con destinazione Maghreb: con la Tunisia e il Marocco, i francesi hanno rafforzato i legami di cooperazione – mentre alcuni momenti di tensione con l’Algeria vi sono stati (come quando il regime di Boumédiène nazionalizzò la produzione petrolifera nel 1971). O ancora, la Francia prese parte a fianco del Marocco al conflitto nel Sahara occidentale, e alla lotta contro il gruppo terrorista Groupe islamique armé (GIA) nella regione durante gli anni 90. Fu ancora Parigi ad ottenere il lancio del dialogo “euro-arabo” al Consiglio Europeo di Copenaghen del dicembre 1973[11].

 

E oggi? L’arrivo all’Eliseo dell’enfant prodige Macron fa credere in un nuovo attivismo francese nella regione, e, in poco meno di un anno di presidenza, si è già adoperato su più fronti: dalla mediazione sulle diverse forze presenti in Libia, a quella tra Libano e i sauditi; dall’inaugurazione del Louvre ad Abu Dhabi, a, ancora una volta, alla vendita di armi ai paesi del Golfo (sia all’Arabia Saudita, sia al Qatar), e alle effervescenti relazioni commerciali con l’Egitto. Il Macron d’Arabia ha ripreso in mano una serie di dossier estremamente delicati.

Giustizia francese permettendo, dunque, non pare che le due sponde del Mediterraneo si allontaneranno poi di molto: anzi, in questo déjà-vu, i vecchi copioni di economia e politica, nonostante le intrinseche novità del Macron candidato, saranno nuovamente recitati su questo palcoscenico in cui Parigi rivendica ancora un ruolo da acteur principal.

 

[1]Jean-Pierre Peyroulou, Abderrahmane Bouchène, Ouanassa Siari Tengour, Sylvie Thénault, Histoire de l’Algérie à la période coloniale, 1830-1962, Éditions Barzakh, Parigi, 2012

[2]Samir Kassir, Faouk Mardam-Bey, Itinéraires de Paris à Jérusalem. La France et le conflit israélo-arabe (Tome I : 1917 – 1958), Institut des études palestiniennes, Washington DC, 1992

[3]Pierre Péan, Les deux bombes, Fayard, 1982, pp. 83 e seguenti

[4]Meynier Gilbert, « Les Algériens vus par le pouvoir égyptien pendant la guerre d’Algérie d’après les mémoires de Fathi al Dib », in Cahiers de la Méditerranée, n°41, 1, 1990, États et pouvoirs en Méditerranée (XVIe-XXe siècles). Mélanges offerts à André Nouschi. Tome I, pp. 89-127

[5] Samir Kassir, Faouk Mardam-Bey, Itinéraires de Paris à Jérusalem. La France et le conflit israélo-arabe (Tome II : 1958 – 1991), Institut des études palestiniennes, Washington DC, 1992

[6] Alberto Tonini, “The EEC Commission and European Energy Policy: A Historical Appraisal”, in R. Bardazzi et al. (eds.), European Energy and Climate Security, Springer International Publishing Switzerland 2016

[7]Kassir, Mardam-Bey, Itinéraires de Paris à Jérusalem, cit.

[8] Lucio Caracciolo, “Affidiamoci allo Stallone”, in La guerra in Libia, Limes, n°2, 2011

[9]Didier Lucas e Inès Carbonell, “Gheddafi il miglior nemico di Sarkozy?”, in La guerra in Libia, Limes, n°2, 2011

[10] Isabelle Bensiboun, Agnes Chevallier, Europe-Méditerranée : le pari de l’ouverture, Ed. ECONOMICA, Paris, 1996, pp. 5-43

[11] Paul Balta, Méditerranée. Défis et enjeux, L’Harmattan, Paris, 2000, pp. 127-156