Criminalità organizzata: un nuovo tipo di terrorismo?

A Lima, nel periodo che va dal 1980 al 1990, è stato dichiarato per ben sei volte lo Stato di Emergenza a livello regionale e ventinove a quello metropolitano, senza considerare gli episodi di violenza protrattisi fino al 2000. Dieci anni non sono bastati per segnare la memoria sociale di un paese abbattuto dalla violenza e dall’ingiustizia. Il dossier della “Commissione per la verità e per la riconciliazione del Perù”, pubblicato nell’agosto del 2003, ricorda non solo i leader e gli appartenenti ai gruppi terroristici di Sendero Luminoso e del MRTA, ma chiama in causa il governo di Alberto Fujimori e le autorità che da esso dipendevano, ritenute responsabili di crimini indiscriminati contro la popolazione civile.

A distanza di tanti anni e con lo sguardo rivolto al futuro, nell’immaginario collettivo delle nuove generazioni il terrorismo è un’epoca ormai tramontata. C’è un particolare, però, che sfugge agli occhi della gente: il 04 dicembre del 2015, con il decreto supremo n° 083-2015-PCM, la presidenza del Consiglio di Ministri dichiara lo Stato di Emergenza nella provincia costituzionale del Callao. Il termine “emergenza”, nella definizione delle scienze sociali, fa riferimento a delle situazioni improvvise di pericolo o difficoltà a carattere tendenzialmente transitorio, cioè di breve durata, le quali comportano una crisi di funzionamento delle istituzioni operanti in un determinato territorio. Conseguentemente, lo Stato di emergenza indica un contesto dove si verificano di fatto le medesime circostanze. In seguito a un accertamento ufficiale, si procede di norma all’adozione delle misure più consone volte alla risoluzione di questa emergenza. L’applicazione di questo strumento giuridico in una determinata circoscrizione implica la sospensione dei diritti costituzionali relativi alla libertà di circolazione, di riunione e di sicurezza individuale, all’inviolabilità del domicilio, delle comunicazioni e alla detenzione con ordine giudiziario, in un contesto in cui le forze armate possono assumere il controllo dell’ordine interno.

In questa area geografica, che è diventata una conurbazione della città di Lima, lo Stato di emergenza è attualmente in vigore, ed è stato prorogato per la terza volta consecutiva il 15 aprile dell’anno in corso per altri 45 giorni. Nel Callao operano la stragrande maggioranza dei gruppi criminali che si arricchiscono sulla domanda di cloridrato di cocaina nel mercato internazionale, spedita per soddisfare i desiderosi consumatori del mondo tramite i container che tutti i giorni escono dal Primo Porto. I leader di queste organizzazioni gestiscono nella stessa maniera il sistema delle tangenti nel settore edile, industriale e politico, utilizzando sicari ai fini di portare a termine eventuali “regolamenti di conti”. I numeri parlano di 149 morti nell’anno scorso, vittime di una forma di criminalità organizzata che compie le sue azioni in modo cosciente, pianificato e sistematico. Al contrario di quanto si pensasse, il decreto che ha stabilito lo Stato di Emergenza non ha portato alla diminuzione della violenza e del pericolo, bensì si è verificato un aumento inaspettato nel numero dei decessi e feriti rispetto al periodo precedente.

Come si spiega che l’applicazione di tale misura non sia stata in grado, fino ad ora, di generare qualche risultato positivo ma, anzi, abbia peggiorato la situazione? L’ex direttore della PNP (Polizia Nazionale del Perù) Montoya ha contribuito a chiarire il quadro per mezzo delle dichiarazioni rilasciate al quotidiano RPP Noticias: “Lo Stato di Emergenza è solo una disposizione legale, quello che veramente conta sono le azioni. Si è dovuto potenziare il lavoro d’intelligence per capire chi siano i leader di queste organizzazioni, chi ne fa parte, dove abitano, dove si riuniscono e a quali feste partecipano. L’agire dei criminali si è dimostrato più efficace delle attività portate avanti dalla polizia”. Inoltre, è mancato un vero e proprio piano strategico che rendesse chiari tutti i movimenti delle bande criminali che operano per strada come anche all’interno delle carceri. Montoya continua: “Cosa facciamo con il centro penitenziario del Callao, diventato l’università del crimine? Queste sono fortezze che bisognerebbe sfruttare dal punto di vista logistico e non lasciarle in mano alle mafie che le hanno convertite nel centro di reclutamento di nuovi membri, pronti a tutto e determinati ad accrescere il loro potere”.

Non è un caso che lo Stato di Emergenza si riveli di scarsa efficacia: in passato diversi governi peruviani hanno utilizzato questo decreto come strumento teso a guadagnare spazio di manovra giuridica che permettesse di violare diritti civili e politici, in modo da facilitare l’eliminazione dei nemici e degli oppositori del regime. L’abuso dello stato di emergenza ha minato la reputazione dei corpi di polizia senza ostacolare sostanzialmente le attività criminali svolte nel paese in un contesto di tolleranza ed acquiescenza delle autorità statali. Una parte significativa della popolazione del Callao è coinvolta nelle attività di tali gruppi criminali mentre l’altra vive in bilico fra il lasciarsi trascinare dal vortice o combattere, da sola, contro un gigante irrefrenabile ed invisibile. In effetti, il sindaco della provincia costituzionale ha richiesto diverse volte l’intervento delle forze speciali dell’esercito nel territorio nonostante diversi esperti non condividano questa ipotesi, considerandola poco adeguata: “I precedenti di questa misura giuridica si ricollegano al periodo del Terrorismo ed è chiaro che dinamica esiga un altro tipo di approccio”, spiega il dottore di diritto costituzionale Fernando Vidal.

Indipendentemente da quanto tali misure siano o no il modo migliore per contrastare questo fenomeno che affligge ancora oggi i paesi latinoamericani, risulta come elemento imprescindibile una presa di coscienza da parte di tutti coloro che si ritengono non influenzati da questi avvenimenti. Molti degli abitanti dei quartieri residenziali che vivono in belle villette unifamiliari, isolati da transenne e sistemi di controllo restrittivi, continuano a pensare che non siano parte del problema. La criminalità organizzata si insinua e dirama i suoi tentacoli ovunque, in particolare nei centri finanziari e aziendali della citta di Lima, scenario quotidiano di atti di vandalismo, sicariato, furto a mano armata, violenza contro le donne e una serie innumerevoli disagi sociali. Bisogna effettivamente riuscire ad abbattere il muro della demagogia e indirizzare le priorità politiche verso una più ampia implementazione di misure preventive e correttive volte a contrastare le mafie, nella speranza che un giorno questo perverso e corrotto sistema, una volta colpito alla base, crolli come un castello di carte.

Anna Sofia Pisani