Gli adesivi del dissenso, riflessioni da Bruxelles sul distacco tra “Piazza” e “Palazzo”

Bruxelles – Camminando per la città ci si imbatte non di rado in piccoli adesivi rossi e bianchi che richiamano l’immagine di un divieto. Lo sfondo bianco è contorniato di rosso ed attraversato diagonalmente da una riga che indica l’interdizione, l’annullamento, un semplice “basta”. Sono tutti uguali, quegli adesivi, ma alcuni, grazie al loro posizionamento, assumono un’importanza particolare. Il più significativo si incontra passeggiando nel cuore del Quartiere Europeo, proprio sotto la sede della Commissione Europea, aggrappato ad un lampione apparentemente qualunque, incessantemente inzuppato dalla pioggia brussellese, che lo costringe ad una continua lotta per non staccarsi ed essere dimenticato, ma che, contemporaneamente, gli porta in dono il costante beneficio dell’acqua, che rischiara e lo rende ben leggibile nel tempo.

C’è scritto “Stop TTIP & CETA” su quello sfondo bianco sbarrato con decisione. È l’espressione di un rifiuto, che assume toni più decisi quando espresso di fronte alla sede di quello che è considerato il cuore pulsante dell’Europa burocratica, pedante ed aguzzina, distaccata dai problemi reali dei cittadini di cui la Politica dovrebbe occuparsi.

Dopo la querelle di ottobre che ha visto protagonista il Parlamento vallone, il CETA – Comprensive Economic and Trade Agreement – torna in questi giorni a far parlare di sé. Il 15 febbraio il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza (408 favorevoli, 254 contrari, 33 astenuti) il testo dell’accordo, che entra così in vigore da subito, seppur in maniera provvisoria, nell’attesa che si completi il processo delle ratifiche nazionali. A nemmeno una settimana dalla decisione di Strasburgo, però, il dissenso nei confronti dell’accordo con il Canada torna a manifestarsi, questa volta attraverso un gruppo di deputati della sinistra francese che ha sollevato dubbi sulla costituzionalità del testo. Nel documento, in cui 106 deputati dell’Assemblea Nazionale chiamano in causa il Conseil Constitutionnel, si esprime preoccupazione per l’ampiezza dell’accordo, considerato dannoso per leggi e regolamenti nazionali a fronte di un’ accresciuta libertà di investimento da parte delle aziende canadesi sul territorio dell’Unione Europea. E’ un accordo troppo invasivo, la cui stesura è avvenuta in maniera non effettivamente democratica e implicante una cessione di sovranità troppo elevata. È soprattutto per quest’ultima ragione che i deputati hanno invitato il Conseil ad un esame dettagliato del testo.

Pare poco probabile che l’obiezione di un gruppo di deputati francesi sarà in grado di ostacolare concretamente il processo delle ratifiche nazionali. Essa pone tuttavia ancora una volta l’accento sul dissenso nei confronti di questo accordo. Un dissenso di matrice certamente differente rispetto a quello espresso dagli adesivi, ma che c’è e merita di essere ascoltato, realmente.

Da qualunque parte gli adesivi del dissenso provengano, a maggior ragione se provenienti dal popolo, che è al centro dell’idea di consenso su cui si basa la democrazia, vanno presi in considerazione.

Spesso sarebbe sufficiente dimostrare di considerare davvero le recriminazioni di chi sta fuori dalle istituzioni per fare riguadagnare alle stesse punti in termini di credibilità. Casi come quello del CETA, invece, non fanno che aumentare lo scollamento tra chi scrive i trattati e chi stampa gli adesivi.

L’Accordo con il Canada è una perfetta rappresentazione del sistema culturale ed economico neoliberista, indubbiamente responsabile, soprattutto attraverso il suo ruolo di “catalizzatore di diseguaglianze”, di una buona fetta di disaffezione nei confronti della Politica.

Risulta allora eccessivamente incoerente, a fronte di una popolazione delusa ed arrabbiata, continuare ad affermare, da un lato la ferma volontà di perseguire il bene collettivo e dall’altro optare per accordi come il CETA che incontrano un elevato tasso di dissenso e che esemplificano perfettamente le dinamiche di un sistema che, seppur meritevole di aver generato una quantità stupefacente di ricchezza e benessere, si è dimenticato clamorosamente dell’aspetto distributivo.

Che il dissenso sia più o meno giustificato, l’Unione Europea – ma invero la politica più in generale – dovrebbe reimparare a dimostrarsi ascoltatrice. A bocciare le proposte quando è necessario, ma solo dopo averle realmente prese in considerazione. Solo così potranno essere ricostruiti i primi pezzi di un ponte, quello che collega la “piazza” al “palazzo”, ormai davvero in cattivo stato, troppo spesso incapace di garantire la necessaria comunicazione tra le parti.

Quegli adesivi urlano bisogno di ascolto. Non può essere solo la pioggia a dargli voce. Alla democrazia non basta.

 

Matteo Marenco