La sfida dell’immigrazione: notizie dal fronte dell’Est

Negli ultimi anni, i flussi migratori verso l’Europa si sono moltiplicati e diversificati, come dimostrano le statistiche dell’Unione europea (UE). Con tutte le precauzioni necessarie di fronte ad un fenomeno difficile da censire con precisione, possiamo ricordare che nel 2015 sono state registrate 1.255.640 domande di asilo a livello degli Stati Membri (SM) dell’UE (+692.960 domande rispetto all’anno 2014)1. In una prospettiva cronologica più ampia questi dati sono ancora più imponenti. Infatti, se ci riferiamo alle 672.000 domane di asilo registrate nel 1992 in seguito allo smantellamento conflittuale dell’ex-Jugoslavia (dati rapportati all’UE-15), possiamo capire ancora meglio l’importanza dei numeri di oggi2. Di fronte a questi dati, ciò che sappiamo è che la maggior parte di queste domande provengono da zone di conflitto (più o meno visibili sulle pagine dei giornali occidentali) e, in particolar modo, dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan.

Come gestire flussi migratori costantemente in crescita in contesti sempre più tesi come, per esempio, all’indomani degli attacchi terroristici di Bruxelles? Bisogna circoscrivere il fenomeno a livello di scelte domestiche? Bisogna identificare una linea comune e solidale a livello europeo? Come gestire i principi base dello spazio Schengen? Che cosa è rimasto della solidarietà, dei valori e dei principi democratici sanciti dai trattati europei?

Senza pretendere in alcun modo che si possa rispondere in maniera esaustiva a tali domande in questa sede, ci proponiamo di mettere in evidenza alcune delle difficoltà di dialogo fra vecchi e nuovi SM dell’UE. Prima di procedere ritengo necessarie alcune considerazioni introduttive. Anzitutto bisogna ricordare che abbiamo a che fare con un fenomeno politico in piena evoluzione: sia per quello che riguarda i flussi migratori (le traiettorie dei migranti, la ripartizione delle quote fra SM), sia per quello che riguarda la dimensione politica (i rapporti fra gli SM e fra istituzioni europee e SM, i rapporti con gli stati candidati, le dinamiche a livello domestico3). Inoltre, i dati a disposizione non sono spesso standardizzati; anche le statistiche di riferimento sono spesso incomplete. Infine, non si può trascurare il peso delle immagini e dei numeri simbolici. Un esempio potrebbe essere il post scritto da una giornalista freelance sulle condizioni dei rifugiati alla frontiera fra la Grecia e la Macedonia: “Le quote europee sono implementate troppo difficilmente per le migliaia di persone che dormono sotto il cielo aperto in Grecia, per le donne che sono morte nei campi, congelate nel freddo del confine tra la Bulgaria e la Turchia, per i 300 bambini che sono morti in soli cinque mesi (settembre 2015-gennaio 2016), nel tentativo di raggiungere l’Europa. 300 bambini!”4.

Non è tuttavia molto chiaro perché sia importante considerare la prospettiva dell’Est. Una prima giustificazione si basa su dati statistici: la rotta dei Balcani è (stata) una delle rotte privilegiate per i rifugiati del conflitto siriano, delle zone irachene sotto controllo di DAESH o dell’Afghanistan, i quali rappresentano i primi tre gruppi di richiedenti asilo a livello europeo5. Una seconda giustificazione è collegata alla coagulazione di una coalizione di SM, provenienti dallo spazio post-comunista, che, a partire dall’estate 2015, si oppongono apertamente al sistema di distribuzione dei migranti attraverso quote. Si tratta di un gruppo composto inizialmente da Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, integrato successivamente da Romania, Bulgaria e Polonia. Il focus sulla zona si giustifica anche attraverso alcuni simboli politici forti veicolati sia nei discorsi politici, sia nelle analisi specialistiche: il ricorso sempre più diffuso alle frontiere con filo spinato, la mobilitazione dell’esercito per respingere immigrati, la raffigurazione degli immigrati come dei paria6

Da terra di emigrazione a terra di immigrazione

Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Europa postcomunista è stata rapidamente associata a terra di emigrazione, per lo più per ragioni economiche. Per quello che riguarda i flussi di migrazione che vedono i paesi post-comunisti come destinazione non si tratta, certamente, di un fenomeno nuovo. O meglio, non completamente nuovo. Per essere più precisi, in particolar modo durante i regimi comunisti, permessi di soggiorno per motivi di studio avevano creato un flusso di immigrazione proveniente per lo più dall’Africa e dal Medio Oriente. Benché i numeri fossero molto meno contenuti, alcuni rifugiati politici avevano trovato asilo nei paesi comunisti. Dopo la Caduta del Muro, sembrano emergere due principali categorie di migranti. Anzitutto ci sono i cosiddetti migranti volontari, una categoria eterogenea formata per lo più da uomini d’affari, alcuni migranti economici e migranti per ricongiungimento familiare. Una categoria decisamente più ristretta è rappresentata dai rifugiati con origini varie (Iraq, Bangladesh, Pakistan, Somalia, Iran, Ruanda, etc.). In entrambi i casi, il processo di integrazione europea ha agito da fattore di standardizzazione nel campo della legislazione in materia. Per oltre due decenni, comunque, i numeri sono rimasti complessivamente molto bassi e il tema non sembra aver avuto un impatto sociale e politico. Basti sottolineare il fatto che nei discorsi dei vari partiti radicali della zona la retorica nativista fa per lo più riferimento alla difesa del popolo (come ethnos) minacciato da minoranze (etniche) storiche.

Nel periodo 2014-2015 i numeri di riferimento cambiano come cambia anche il soggetto: si tratta, ormai, di migranti la cui venuta non è stata sollecitata; essi rappresentano una sfida diretta alla sovranità dello Stato, intesa in riferimento alla capacità e alla possibilità effettiva di affrontare/attuare scelte politiche o economiche, sociali o culturali per la comunità di riferimento. Infatti, come accennavamo, in base alle statistiche fornite dalla Commissione europea, nell’anno 2015 un numero di 1.255.640 richiedenti asilo sono stati censiti nei 28 SM dell’Unione (fig. 1). Se prendiamo in considerazione il paese di registrazione della domanda, la maggior parte delle richieste sono state effettuate in Germania, Ungheria e Svezia (il 61,51% del totale di riferimento).

Fig. 1: numero di richiedenti asilo per Stato membro nel 2015

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Fonte: Eurostat News Release 4 marzo 2016

I nuovi SM sembrano essere meno interessati da questi flussi. I dati riguardanti i 10 stati membri provenienti dallo spazio post-comunista sono stati raggrupparti nella tabella 1. Soltanto il 13,68% del totale di riferimento dei richiedenti asilo a livello europeo sono registrati in nuovi SM (esclusi Cipro e Malta). Tuttavia il 10,94% del totale europeo è stato registrato in uno di questi Paesi, l’Ungheria (l’81,53% del totale della zona). Ad eccezione dell’Ungheria, soltanto la Bulgaria presenta valori sopra l’1%.

Tabella 1: La situazione dei richiedenti asilo nei nuovi stati membri

Paese

Numero assoluto

% sul totale europeo

Bulgaria

20.165

1,61

Croazia

140

0,01

Repubblica Ceca

1.235

0,10

Estonia

225

0,02

Ungheria

137.330

10,94

Lettonia

330

0,03

Lituania

275

0,02

Polonia

10.255

0,82

Romania

1.225

0,10

Slovacchia

270

0,02

Slovenia

260

0,02

Totale Ue

1255640

100

Totale NMS (es. Malta e Cipro)

171.710

13,68

Fonte: Eurostat News Release 4 Marzo 2016

Così come suggerito dalla Commissione stessa, bisogna prendere in considerazione non soltanto il numero assoluto di richieste, ma anche il rapporto fra questo numero e la popolazione totale. Come ha specificato l’Eurostat release del mese di marzo 20167, se ci riferiamo alla popolazione di ciascuno Stato membro, il maggior numero di richiedenti asilo è stato registrato proprio in Ungheria (17.699 domande per ogni milione di abitanti), il che posiziona il paese davanti alla Svezia (16.016 domande per ogni milione d’abitanti), all’Austria (9970 domande per ogni milione d’abitanti), alla Finlandia (5.876 domande per ogni milione d’abitanti) o alla Germania (5441 domande per ogni milione di domande). Su scala europea, le proporzioni più basse si ritrovano nel caso della Croazia (34 domande per ogni milione di abitanti), della Slovacchia (50 domande per ogni milione di abitanti), della Romania (62 domande per ogni milione di abitanti) e della Lituania (93 domande per ogni milione di abitanti).

Per avere un quadro ancora più preciso, possiamo considerare l’origine dei richiedenti asilo8. Se ci riferiamo al totale a livello UE-28: il 34% dei richiedenti proviene dalla Siria (quasi 1 su 3), il 19% dall’Afghanistan, 13% dall’Iraq. Se la maggior parte dei Siriani ha fatto richiesta di asilo in Germania, per quanto riguarda gli afgani, quasi la metà di essi hanno fatto domanda in due SM (in particolare, la Svezia e l’Ungheria). Infatti, se guardiamo il caso dell’Ungheria, nel periodo di riferimento, il 30% delle domande provengono da cittadini afgani, il 18% da siriani e il 17% da iracheni. Sulla base dei dati forniti dal report della Commissione del mese di marzo 2016, il paesaggio nell’Europa post-comunista è piuttosto variegato. Per esempio, gli Iracheni occupano la prima posizione (il 34%), seguiti dagli Afgani (il 31%) e dai Siriani (il 30%) in Bulgaria. In Repubblica Ceca ritroviamo al primo posto i cittadini Ucraini (il 46%), seguiti dai siriani (l’11%) e dai cubani (l’10%). In Polonia, al primo posto ci sono i cittadini Russi (il 68%), seguiti dagli Ucraini (15%) e dai Tagiki (il 5%).

Il quadro così tratteggiato ci suggerisce che, ad eccezione del caso ungherese, i numeri di richieste non sono di per sé un collante fra i nuovi SM provenienti dall’Est. La domanda non è uguale per tutti. Il legame emerge allora dagli elementi discorsivi: in primis la paura dello straniero musulmano. Infatti, se guardiamo il caso ungherese, al di là delle continuità nel discorso di Fidesz e del suo leader con il topos della necessità di difendere i valori tradizionali e cristiani del popolo ungherese, già visibile nel contesto dell’adozione di una nuova costituzione negli anni 2010-11, il discorso è incentrato sullo scontro delle culture e delle civiltà, ma anche sull’associazione fra immigrati e terroristi9. Su questo solco argomentativo, l’Ungheria diventa il punto di riferimento per il gruppo di Visegrád10 sia per quello che riguarda la posizione contraria di questi stati alle quote di richiedenti asilo definite a Bruxelles nell’autunno del 2015, sia per le pressioni a favore di un controllo rafforzato delle frontiere esterne. Allo stesso tempo, lo scontro con l’UE non è diretto. Infatti, il governo di Budapest sostiene che si tratti di una politica di difesa dello spazio Schengen e della promozione di un nuovo assetto europeo incentrato su un riequilibrio delle competenze a favore del livello nazionale. In sintesi, maggiori poteri agli stati nazionali e minore spazio di manovra a Bruxelles. In questo ambito emerge regolarmente anche la necessità della normalizzazione delle relazioni con la Federazione russa.

Una retorica simile è identificabile anche nel caso della Polonia, un caso particolare in quanto in prossimità della riunione dei ministri degli interni degli SM a settembre 2015 aveva cambiato la sia posizione scettica a favore del sistema delle quote. Un ruolo importante aveva giocato il suo ex-Primo ministro, Donald Tusk, diventato nel frattempo Presidente del Consiglio europeo. In quell’occasione, oltre all’Ungheria, avevano espresso un voto contrario la Repubblica Ceca, la Romania e la Slovacchia, con l’astensione della Finlandia. La vittoria del partito della destra conservatrice Diritto e Giustizia (PiS) alle elezioni legislative del mese di ottobre 2015 ha indotto un cambio brusco di direzione ed una sincronizzazione totale fra il governo di Varsavia e il discorso di Budapest. Il leader del PiS, Jarosław Kaczyński dichiara così la sua ammirazione per il PM ungherese, associando gli immigrati a dei portatori di parassiti e criticando la politica “coloniale” tedesca11. Anche in questo caso, l’associazione immigrati-terroristi è un elemento ricorrente. Discorsi simili si ritrovano anche nel caso del Primo ministro slovacco Robert Fico. Anche in questo caso la resistenza alle quote decise a Bruxelles fa emergere una critica dell’Unione europea (per es. “nessuno ordinerà alla Slovacchia quanti e che tipo di immigrati deve accettare”)12 e del multiculturalismo (per es. “l’idea europea del multiculturalismo è fallita”13). Emblematico è in questo senso il ricorso della Slovacchia alla Corte di Giustizia contro il piano del Consiglio Europeo di redistribuzione dei migranti. È da sottolineare, però, che la Slovacchia non nega in toto il sistema delle quote, ma condizionaalla religione cristiana la sua disponibilità di accoglienza. La Slovacchia si è infatti offerta di ricevere «200 rifugiati siriani per aiutare i Paesi dell’Unione europea a far fronte a un afflusso di centinaia di migliaia di migranti», ma solo a una condizione: «Che siano tutti cristiani». La Slovacchia, sottolinea ancora il Primo ministro «è un Paese cristiano, non possiamo tollerare l’invasione di 300-400 mila musulmani che vorrebbero riempirci di moschee e cambiare la natura, la cultura e i valori nazionali»14. Anche nel caso ceco la retorica è simile: lo scontro delle civiltà mette assieme esponenti di partiti variegati e riscontra un grande successo di pubblico.

Alcune considerazioni conclusive

Come per il resto dell’UE, il volto e il peso dell’immigrazione sono cambiati anche all’Est. In particolare per quello che riguarda l’Ungheria. Per gli altri SM della regione, tuttavia, si tratta per lo più di “spettri” politici, di soggetti immaginari piuttosto che di soggetti effettivi (sia come numeri assoluti, sia in proporzione alla popolazione dello stato). Gli immigrati non sono tanto sul campo quanto nei dibatti politici e nelle paure misurate costantemente dai sondaggi ed esibite nei dibatti televisivi. Ciò che sorprende in questo contesto è la coerenza discorsiva fra partiti politici variegati, spesso collocati in gruppi parlamentari distinti a Bruxelles o Strasburgo. L’eterogeneità politica non sembra essere un ostacolo per un discorso che galvanizza con successo l’elettorato, così come dimostrato di recente dalle elezioni in Slovacchia. Alla domanda iniziale su come gestire i flussi migratori, per i Paesi del fronte dell’Est la risposta data all’unisono è molto semplice: costruendo muri e frontiere con filo spinato. Inoltre si sottolinea come il fenomeno debba essere gestito a livello domestico. L’UE o la Germania sono percepiti come poteri colonizzatori. Sono finiti i tempi dell’entusiasmo pro-europeo, dell’elogio del potere trasformativo dell’UE. L’UE stessa non ha strumenti per tentare di modificare questo atteggiamento. Le sanzioni veicolate, come per esempio l’accesso ai fondi europei della politica di coesione, non risultano credibili.

Vista dall’Est, l’UE deve essere una “fortezza” basata su una rigida sorveglianza delle frontiere esterne, un conglomerato di SM chiusi su loro stessi soprattutto dal punto di vista culturale.

1 “Asylum in the EU Member States Record number of over 1.2 million first time asylum seekers registered in 2015 Syrians, Afghans and Iraqis: top citizenships”, Eurostat News Release 4 Marzo 2016, disponibile a: http://ec.europa.eu/eurostat/documents/2995521/7203832/3-04032016-AP-EN.pdf/790eba01-381c-4163-bcd2-a54959b99ed6

2 Dati Eurostat, disponibili a:
http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Asylum_statistics

3 Si veda, per esempio, l’analisi delle elezioni slovacche di Tim Haughton, Darina Malova e Kevin Deegan-Krause, “Slovakia’s newly elected parliament is dramatically different and pretty much the same. Here’s how”, 9 marzo 2016, disponibile a: https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2016/03/09/slovakias-newly-elected-parliament-is-dramatically-different-and-pretty-much-the-same-heres-how/

4 Claudia Ciobanu, “Exercițiu de imaginație”, 2 marzo 2016, disponibile a :
https://mamaligadevarsovia.wordpress.com/2016/03/02/exercitiu-de-imaginatie-cu-refugiati/

5 Dati Eurostat 2015, disponibili a: http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Asylum_quarterly_report e dati Frontex 2015 disponibili a : http://frontex.europa.eu/trends-and-routes/western-balkan-route/

6 Paria non solo in quanto “non-cristiani” ma anche in quanto vettori di malattie. Si veda più avanti.

7 Asylum in the EU Member States Record number of over 1.2 million first time asylum seekers registered in 2015 Syrians, Afghans and Iraqis: top citizenships”, p. 2.

8 Ibidem, p. 3.

9 Si veda l’intervista di Viktor Orbán del 23 novembre 2015 disponibile a: http://www.politico.eu/article/viktor-orban-interview-terrorists-migrants-eu-russia-putin-borders-schengen/

10 Si veda l’articolo di Maria Serena Natale, “Migranti: polacchi, cechi, slovacchi e ungheresi vogliono “il Muro dell’Est””, Corriere della Sera, 15 febbraio 2016, disponibile a:
http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_16/muro-dell-est-visegrad-orban-berlino-immigrazione-migranti-8b9bb3be-d423-11e5-ad4b-f58d2f08a6c7.shtml?refresh_ce-cp

11 Jan Cienski, “Central Europe wants to halt migration if EU plan fails. Visegrád countries don’t want migrants, but they also don’t want to offend Germany”, Politico, 15 febbraio 2016, disponibile a: http://www.politico.eu/article/migrants-asylum-orban-visegrad-poland-hungary-chezch-slovakia-migration-refugees/

12 Migranti, Fico: a Bruxelles no alle quote, un successo della Slovacchia, 29 giugno 2015, disponibile a: http://www.buongiornoslovacchia.sk/index.php/archives/56932

13 Peter Foster, Justin Huggler e Richard Orange, “Europe in crisis over sex attacks by migrants amid calls for emergency EU meeting

, The telegraph, 8 January 2016,
http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/germany/12090388/Europe-in-crisis-over-sex-attacks-by-migrants-amid-calls-for-emergency-EU-meeting.html

14 Antonietta Demurtas, “Slovacchia, profilo di Fico: il socialista anti-immigrati”, Lettera 43, 24 settembre 2015,
http://www.lettera43.it/politica/slovacchia-profilo-di-fico-il-socialista-anti-immigrati_43675216500.htm

 

Sorina Soare (ssoare@unifi.it),
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali,
Scuola di Scienze Politiche Cesare Alfieri,
Università di Firenze