La Via della Seta Marittima: come la strategia cinese nell’Oceano Indiano sta aumentando le tensioni con l’India


Di Giulia Barbiero (da Limes Club Firenze)

Da Pechino con furore

La Belt and Road Initiative, o Nuova Via della Seta, è una strategia di sviluppo globale adottata dal governo Cinese nel 2013. Negli ultimi anni, essa si è resa protagonista di numerosissime analisi e valutazioni in tutto il mondo: alcuni ne sottolineano il grande potenziale economico; altri la guardano con sospetto. In ogni caso, a prescindere dal punto di vista, è chiaro che questa iniziativa segnerà in maniera indelebile la storia del XXI secolo.

Ricalcando le tratte della Vecchia Via della Seta, questo nuovo piano strategico si articola su due assi principali, uno terrestre e uno marittimo. Il primo identifica la sua zona d’influenza economica che, dall’Asia Centrale, si spinge fino alla Spagna; il secondo è, invece, volto a rafforzare investimenti e collaborazione nel Sud-Est Asiatico, Oceania e Africa sfruttando alcune tra le rotte commerciali più importanti del pianeta. A tal fine, la Cina si sta prepotentemente muovendo nella zona dell’Oceano Indiano, promuovendo l’acquisizione di posizioni privilegiate tramite il coinvolgimento di compagnie cinesi nella costruzione, espansione e gestione di diversi porti commerciali strategici. Nonostante il Presidente Xi Jin Ping abbia più volte asserito la natura puramente economica del progetto, tale condotta è risultata piuttosto aggressiva agli occhi di molti paesi dell’area.

Che l’Oceano Indiano risulti teatro di competizione tra potenze non è certo cosa nuova. Oltre ad ospitare alcune tra le tratte commerciali e culturali più importanti al mondo, questa porzione di mare collega Medio Oriente, Africa ed Asia Orientale con Europa e America. Estremamente ricca di idrocarburi e minerali pesanti, si stima che quasi il 40% del petrolio mondiale offshore provenga da questa zona.1 Questo florido potenziale ha fatto sì che il controllo stesso sull’accesso all’oceano divenisse nei secoli un fattore cruciale all’interno degli scambi tra Est ed Ovest. La particolare geografia della regione, infatti, caratterizzata da limitati e ridotti accessi marittimi e da una debole connessione infrastrutturale con l’entroterra, ha storicamente consentito solamente alle grandi potenze marittime di dominare l’area.

Non ci sorprende dunque che, ancora oggi, il pensiero strategico riguardo l’Oceano Indiano continui ad essere largamente influenzato dalle teorie di strateghi militari come Albuquerque e dallo stesso Mahan,2 i quali riportano all’indispensabilità per le potenze marittime di garantirsi il controllo degli stretti, al fine di monitorare tutto il traffico commerciale in entrata e in uscita, di dominarlo e di attestare così la propria supremazia.3

È in questo quadro che dobbiamo inserire la decisione cinese di sviluppare una blue water navy, ovvero una forza navale in grado di operare in mare aperto e salvaguardare i propri interessi marittimi. Nel tentativo di espandere la sua influenza, infatti, la Cina si è resa protagonista di importanti investimenti economici e militari nell’area dell’Oceano Indiano che hanno reso indispensabile un parallelo controllo sulle sue vie di comunicazione.4 A tal proposito, Pechino ha intrapreso una serie di progetti infrastrutturali attorno a determinati punti strategici, in modo tale da assicurare la propria presenza nell’area tramite l’instaurazione di stabili rapporti economico-diplomatici con i vari governi della regione. Tra le principali azioni strategiche compiute dalla Cina ricordiamo:

  • La costruzione di un porto d’altura a Gwadar nella regione del Belucistan, in Pakistan, a circa 400 km dall’importantissimo Stretto di Hormuz, il quale collega il Golfo di Oman con il Golfo Persico. Il progetto include anche la costruzione di una raffineria petrolifera e un collegamento infrastrutturale che metta in comunicazione il porto con la provincia cinese dello Xinjiang.5
  • La firma di un Free Trade Agreement e di altri progetti infrastrutturali e di fornitura di hardware militari con le Maldive,6 non a caso catapultate nell’orbita della Nuova Via della Seta poiché dislocate lungo le principali vie marittime ospitanti quasi due terzi del petrolio mondiale.
  • L’aiuto tecnico e finanziario fornito dalla Cina per lo sviluppo del Porto di Hambantota, in Sri Lanka, che si trova a sole sei miglia nautiche dalle principali rotte dell’Oceano Indiano.
  • Oltre a ciò, Pechino ha provveduto alla costruzione di un porto in Myanmar, è un importante partner commerciale e militare del Bangladesh ed intrattiene stretti rapporti strategici ed economici con Seychelles, Malesia e Indonesia.

Collane di perle?

Le azioni cinesi hanno, dunque, destato non pochi timori e sono state considerate destabilizzanti per la sicurezza della regione. La stessa strategia americana nei confronti dell’area indo-pacifica, lanciata nel 2017, coinvolge i maggiori alleati nella regione – come India e Giappone – ed è stata concepita con l’obiettivo di controbilanciare il potere marittimo di Pechino.7

L’India, una delle maggiori potenze locali, ha avanzato forti preoccupazioni riguardo le implicazioni geopolitiche del progetto cinese, contestandone la pericolosità per i già precari equilibri di potere nella regione. La sovrapposizione sempre più evidente di interessi tra i due giganti rischia, infatti, di condurre ad un’escalation di tensioni dovute proprio all’ambizione di entrambi di giocare il ruolo di potenza egemone nell’area. Il dubbio valore economico di molti investimenti cinesi indica che probabilmente, in tali decisioni, le considerazioni strategico-militari siano effettivamente prevalse.8

Ciò non ha fatto altro che esacerbare la sindrome di accerchiamento percepita dall’India. Vari analisti indiani considerano, infatti, questi progetti cinesi come parte di una strategia per costruire una string of pearls. Quest’ultimo è un concetto geopolitico che fa riferimento al piano di costruzione, da parte di Pechino, di una catena di basi navali nella regione, ufficialmente concepito per proteggere i propri interessi economici da eventuali minacce ma finalizzato, in realtà, al raggiungimento del dominio dell’area attraverso il controllo dei flussi commerciali. Tuttavia non è nemmeno possibile affermare che la crescente presenza della marina cinese nell’Oceano Indiano faccia parte di una vera e propria strategia navale di controllo, dal momento che le evidenze in tal senso sono troppo deboli. Del resto, il Presidente Xi Jinping ha sempre negato la retorica della string of pearls riconducendo tutti gli investimenti compiuti ad un quadro puramente economico e securitario.9

In ogni caso, nonostante tutti gli elementi di dissenso tra le due potenze asiatiche, c’è qualcos’altro che mantiene l’India in costante stato di allerta: il tentativo da parte di Pechino di sviluppare connessioni dirette tra l’entroterra asiatico e l’Oceano Indiano in un contesto in cui è ancora persistente la presenza di dispute territoriali. La creazione dei due “corridoi economici” attraverso il Myanmar e il Pakistan, ad esempio, oltre a permettere alla Cina di attestarsi stabilmente nell’Oceano Indiano, ha il potenziale di modificare radicalmente la natura di questo sistema strategico, storicamente dominato solo da potenze marittime.

Xi Jinping ha a lungo tentato di coinvolgere l’India in tali progetti, ma la diffidenza di Nuova Delhi è emersa sempre di più, soprattutto durante la presidenza di Narendra Modi. L’India, oltre ad interpretare le mosse cinesi come tentativi di ridimensionare la sua influenza, teme la possibilità che Pechino possa penetrare la barriera dell’Himalaya, proprio come avvenuto recentemente nella valle di Galwan, al confine con l’Himalaya,10 in cui venti soldati indiani hanno perso la vita negli scontri contro le forze cinesi.

In questo contesto, una delle problematiche più lampanti è rappresentata dal passaggio di questo corridoio economico attraverso la contesa area del Kashmir.11 Sotto questo aspetto, il potenziale rafforzamento del legame tra Cina e Pakistan alimenta sempre più la paura di accerchiamento dell’India e, con essa, il rischio di escalation militare, soprattutto alla luce delle storiche dispute di confine tra i due paesi e del sempre vivo problema del separatismo nel nord dell’India.12

In conclusione, pur assumendo che i progetti cinesi nell’Oceano Indiano abbiano una natura puramente economica, le conseguenze strategiche ad essi collegate nella regione destano profonde preoccupazioni e offrono un’idea ben precisa di quanto sia difficoltosa la ricerca di un terreno comune tra i due giganti asiatici. In questo senso, l’Oceano Indiano potrebbe quindi non essere l’unica cornice di un potenziale confronto militare.

 

Note:

  1. Oceans: Indian Ocean, CIA – The World Factbook. 2015.
  2. Mahan sosteneva l’importanza del potere marittimo e navale, affermando che le potenze marittime fossero per natura più forti di quelle continentali (The Influence of Sea Power Upon History: 1660-1783).
  3. David Brewster (2017), Silk Roads and Strings of Pearls: The Strategic Geography of China’s New Pathways in the Indian Ocean, Geopolitics (22:2), pp 269-291.
  4. Julia Gurol, Parisa Shahmohammadi (2019), Projecting Power Westwards China’s Maritime Strategy in the Arabian Sea and its Potential Ramifications for the Region, CARPO, Study 07, 11 September 2019, pp 8-9.
  5. Niclas D. Weimar (2013), Sino-Indian power preponderance in maritime Asia: a (re-)source of conflict in the Indian Ocean and South China Sea, Global Change, Peace and Security (25:1), pp 5-26.
  6. Sudha Ramachandran, The China-Maldives Connection, The Diplomat, 25 January 2018.
  7. Dingding Chen, The Indo-Pacific Strategy: A Background Analysis, ISPI , 04 June 2018.
  8. Gurpreet S. Khurana (2008), China’s ‘String of Pearls’ in the Indian Ocean and Its Security Implications, Strategic Analysis (32:1), pp 1-39.
  9. David Brewster (2017), cit.
  10. Ugo Tramballi, Cina-India: scontri al confine e volontà di potenza, ISPI, 16 giugno 2020 (www.ispionline.it).
  11. Fatti storici come la Guerra tra India e Pakistan e quella sul confine himalayano tra India e Cina del 1962 sono divenuti parte integrante dell’identità nazionale indiana e contribuiscono ad aumentare i timori.
  12. Liu Zongyi, What Are India’s Concerns about the BCIM Economic Corridor?, China-India dialogue (8:3), maggio/giugno 2017.