Politica, religione e violenze di genere: il caso della guerra nella ex Jugoslavia

Il seminario
“Gender Based Violence in the context of war and conflict: a power tool. The case study of the former Yugoslavian republics”
è stato promosso dal Forum per i problemi della pace e della guerra con la collaborazione di Reset DOC, del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze, della fondazione Bruno Kessler e del Centre for the Study and Documentation of Religious and Political Institutions in Post-secular Society dell’Università Roma Tor Vergata.

Cosa può aver spinto un gran numero di uomini a commettere stupri e violenze a sfondo sessuale in maniera sistematica? La ricerca di una risposta a questa domanda è il filo conduttore che ha guidato l’incontro del 20 aprile sulle violenze di genere nel contesto del conflitto nella ex Jugoslavia.

Le due ricercatrici ospiti del seminario, Gorana Ognjenović dell’Università di Oslo e Jasna Jozelić del Norwegian Centre for Human Rights, hanno esposto alcuni dei risultati delle ricerche che conducono da anni sui temi della politicizzazione della religione e della violenza sessuale come strumento di sopraffazione durante i conflitti. Inizialmente hanno voluto sottolineare come le questioni di genere nell’ambito di questo particolare conflitto siano state – e continuino ad essere – meno studiate rispetto ad altre. Oltre alla ricerca di giustizia per le vittime, ciò che rende questo tema di estrema importanza è il legame che esso ha con politica e religione. È poi osservando più da vicino l’uso politico che è stato fatto della religione che possiamo porre le basi per cominciare a comprendere le violenze.

L’annullamento della laicità

La guerra in Bosnia ed Erzegovina ha mostrato al mondo intero come la religione possa essere utilizzata fino alle estreme conseguenze per obbiettivi politici. Il pluralismo religioso – che è cosa ben diversa dal pluralismo etnico, come ricorda Gorana Ognjenović – della Bosnia è stato attaccato con l’obbiettivo di creare comunità omogenee. La configurazione etnica e religiosa dell’attuale Bosnia ed Erzegovina è il risultato di scontri di identità e scelte più o meno imposte. Il contesto che precedeva lo scoppio della guerra è indispensabile per capire il processo di pulizia etnica compiuto. Lo spazio per la laicità è stato completamente annullato dalla corrispondenza che è stata creata fra religione e comunità. L’appartenenza religiosa è stata utilizzata per discriminare, torturare ed uccidere. L’essere praticanti o, al contrario, il non riconoscersi di fatto nella religione di famiglia non faceva alcuna differenza di fronte alle persecuzioni.

La sopravvivenza delle vittime

Nell’aprile del 2015 un tribunale bosniaco ha concesso per la prima volta un risarcimento ad una donna che da adolescente, durante la guerra, era stata vittima di uno stupro da parte di un vicino di casa e di un soldato serbo. Jasna Jozelić richiama all’attenzione questa vicenda per mettere in evidenza le difficoltà di avviare e portare fino in fondo procedimenti giudiziari per risarcire le vittime di violenze sessuali. Due organizzazioni in Bosnia ed Erzegovina si occupano delle violenze sessuali subite da migliaia di donne e uomini durante la guerra. Rompere il silenzio è tuttavia difficile ed uno dei più grandi timori di chi si occupa di questi casi è quello di infliggere nuove sofferenze alle vittime, soprattutto quando si parla di coinvolgere i tribunali, dal momento che, dice Jasna Jozelić, la sicurezza di chi chiede risarcimenti non può essere sufficientemente garantita.

La vergogna provata dalle vittime è il drammatico risultato di quello che si proponevano i carnefici: distruggere il nemico e le sue future generazioni attraverso la sopravvivenza delle vittime degli stupri e, in molti casi, anche attraverso gravidanze forzate che avrebbero dovuto “biologicamente” annullare l’altro. Il corpo delle vittime diveniva manifestazione fisica del gruppo che si intendeva annientare. Anche per questo motivo gli stupri non hanno riguardato solo donne ma anche uomini. Dalla seconda guerra mondiale non si riscontrava un tale livello di violenze a sfondo sessuale.

Sistematicità

Gorana Ognjenović e Jasna Jozelić ripetono più volte la parola “sistematicità”. Le ricerche che hanno svolto mirano anche a comprendere come sia stato possibile reclutare così tanti uomini per commettere migliaia di stupri.

Le violenze erano vere e proprie «armi strategiche». In quanto tali, facevano parte di «piani scientifici» ed erano una componente della politica di guerra. Esse potevano divenire armi strategiche per quanto abbiamo già riferito in merito alla politicizzazione del corpo dei nemici. Migliaia di donne musulmano-bosniache sono state vittime di una campagna di stupri e violenze sessuali proprio per questa ragione.

L’attenzione al genere delle vittime ci introduce ad un’altra dimensione del contesto sociale del conflitto, ovvero il carattere patriarcale della società. Questo fattore è all’origine di convinzioni costruite socialmente sulla religione e sul ruolo subordinato della donna, che sono poi state sfruttate per giustificare le violenze a sfondo sessuale mirate. In maniera più che mai acuta, il conflitto ha reso «not she but it» la donna vittima di violenze, sottolinea Gorana Ognjenović. Le donne erano infatti una “proprietà” del nemico di cui impossessarsi, come nel caso di beni materiali.

A riguardo, Jasna Jozelić ha parlato in termini più generali della sfida educativa e culturale che abbiamo di fronte. I simboli e le idee che sono stati il perno della guerra nella ex Jugoslavia non possono dirsi completamente compresi e condannati finché in varie parti del mondo le violenze sessuali continuano ad essere un vero e proprio strumento di guerra.

Elena Cammilli