Programmi vaccinali nel Medio Oriente: Israele ed Emirati Arabi come esempi di stoccaggio e velocità di distribuzione del vaccino anti-Covid; palestinesi lasciati soli.

Di Cristian Morelli

Nonostante la continua impasse politica che infligge Gerusalemme da ormai due anni, Israele si appresta a tornare alla normalità. L’ex Ministro della Salute dello Stato ebraico, Yudi Edelstein, ha di recente creato la campagna “Back to Life” Essa ha l’intento di creare le condizioni per favorire una vaccinazione rapida e di massa, un modo efficace per riportare appunto Israele alla vita ordinaria di un passato recente ma distante. Israele non è l’unico paese che negli ultimi mesi è riuscito ad avanzare rapidamente nella propria campagna vaccinale. Nella regione Medio-Orientale si aggiungono anche gli Emirati Arabi. I due Stati, i cui rapporti si sono appacificati dopo gli accordi stabiliti nel settembre 2020 attraverso gli Accordi di Abramo firmati alla Casa Bianca, hanno creato le condizioni per essere più veloci ed efficienti di molti altri Stati sviluppati dell’Occidente come gli Stati Uniti o membri dell’UE.

Nonostante i rischi che gli Emirati Arabi hanno corso con il mondo Arabo per aver stabilito la pace con Israele, essi hanno promosso iniziative di ricerca medica in Israele la quale ha contraccambiato con forniture mediche. I due paesi non hanno una popolazione di grande dimensione (9 milioni per entrambi), ma il tasso di mortalità è stato piuttosto ingente. In Israele, una persona su nove è stata contagiata dal virus e il totale dei morti è di circa 7.000. Gli Emirati Arabi, invece, non se la sono vista male come lo Stato ebraico: il totale dei casi ammonta circa alla metà di quelli visti in Israele e un numero di morti pari a 1.500 (statistiche e dati ottenuti tramite il portale della John Hopkins University). In breve, in circa 18 milioni di persone ci sono stati circa 10.000 casi di positività e 8.500 morti. Eppure, quello che hanno fatto dall’inizio delle campagne vaccinali ha del sorprendente.
Infatti da quando i vaccini hanno cominciato ad essere distribuiti, Israele ha già vaccinato con entrambe le dosi più del 51% della propria popolazione. I vaccini ad essere stati utilizzati sono gli stessi utilizzati in Europa, come il Pfizer-BioNTech. Dall’altro lato gli EAU si sono principalmente forniti del vaccino cinese, il Sinopharm. La velocità con cui hanno condotto la propria campagna vaccinale supera di gran lunga quella di Gran Bretagna, Germania e Francia messi insieme. Israele e gli EAU hanno però utilizzato due strategie diverse per arrivare alla “quasi normalità”. Da un lato abbiamo Israele, la cui vaccinazione è garantita (al momento) solo ai cittadini israeliani e non ai palestinesi. Dall’altro, mentre molti Stati Occidentali e del Golfo preferiscono aspettare le dosi necessarie provenienti dalla Pfizer-BioNTech, Moderna e Johnson&Johnson, gli EAU avevano già approvato e distribuito le prime dosi con il Sinopharma cinese la cui efficacia, secondo studi effettuati negli stessi Emirati, sia di circa l’86%.

Il rovescio della medaglia sta appunto nella non vaccinazione di alcune frange della popolazione. Se a febbraio gli EAU avevano temporaneamente bloccato le vaccinazioni dei residenti anziani e pazienti con patologie pregresse ma già riprese a pieno ritmo solo da pochi giorni, Israele continua a non provvedere i vaccini alla popolazione palestinese. Nel mese di febbraio i territori occupati hanno visto un vertiginoso aumento dei contagi e dei decessi, e la West Bank ha dovuto subire un lockdown. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha già confermato che nelle aree di West Bank, Gaza e Gerusalemme-Est, i palestinesi contagiati sono stati circa 252.000 con circa 3.000 morti. Le poche migliaia di dosi consegnate alle autorità palestinesi (circa 90.000 dosi tra Pfizer-BioNTech, AstraZeneca e Sputnic – da notare che circa 20 mila dosi dello Sputnic sono state donate dagli EAU) sono state donate attraverso lo Schema COVAX che è gestito centralmente dall’OMS.
C’è molta controversia su chi affibbiare la responsabilità del ritardo nella programmazione della campagna vaccinale e nella distribuzione del vaccino. L’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha indicato Israele come responsabile e di attuare contromisure il più presto possibile, così come previsto dall’art. 56 della 4° Convenzione di Ginevra sui Diritti Umani. Dall’altro lato le autorità di Gerusalemme negano qualsiasi forma di responsabilità in quanto secondo i due Accordi di Oslo, firmati nel 1993 e 1995, prevedono che siano le stesse autorità palestinesi ad occuparsi indipendentemente del proprio sistema sanitario. Allo stesso tempo, sia Hamas che gli esperti dell’ONU riferiscono che tali accordi prevedono 1) lo scambio di informazioni su malattie infettive durante periodi di epidemia e lo scambio di documenti e schede mediche per combatterle, e 2) che il diritto internazionale mantenga la precedenza su tali accordi, e che quindi la 4° Convenzione di Ginevra, la quale richiede al paese occupante di provvedere al sistema sanitario delle aree occupate, abbia priorità su tali accordi.

La situazione continua a migliorare per Israele e gli EAU. Non per i palestinesi. Sebbene gli Accordi di Abramo stiano creando un nuovo ordine regionale, quasi inaspettato e inimmaginabile solo pochi anni fa, la lontananza dell’intero mondo sunnita nei confronti dei palestinesi si sta allargando. Da un lato abbiamo gli EAU che vaccinano tutti i residenti, dall’altro Israele che vaccina solo i propri cittadini. Possiamo sperare che una volta che Israele avrà raggiunto l’immunità di gregge possa poi provvedere ad aiutare anche la popolazione palestinese.