This is the State of the Union, Eccellentissime Madri

eccellentissime

The State of the Union address di Ruth Rubio Marín

The State of the Union è una conferenza internazionale organizzata annualmente dall’Istituto Universitario Europeo (IUE) in occasione della Festa d’Europa (9 maggio). Rappresenta un’occasione di altissimo livello per affrontare e discutere circa le sfide che l’Unione Europea si trova ad affrontare. Quest’anno la State of the Union si è tenuta i giorni 5 e 6 Maggio tra la sede dell’IUE alla Badia Fiesolana e il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, e si è conclusa con una giornata per famiglie nel parco di Villa Salviati, sede degli Archivi Storici dell’Unione Europea [che a breve ospiterà anche i dipartimenti di storia e legge dell’EUI.]

Il tema scelto per questa edizione è stato “Il ruolo delle donne in Europa e nel mondo”. Lo State of the Union Address è stato tenuto quest’anno da Ruth Rubio Marìn, professoressa di diritto costituzionale e pubblico comparato all’EUI.

Grazie al carisma e alla passione mostrati durante tutti e trenta i minuti del discorso, nonché alle sue elevatissime competenze accademiche, al discorso sono seguiti cinque minuti di applausi, sentito tributo di un Salone dei Cinquecento molto colpito dal discorso della professoressa Rubio Marin. Per queste ragioni consiglio vivamente la visione del discorso, disponibile sul sito della conferenza (https://stateoftheunion.eui.eu/).

Vi sarete chiesti, come mi sono chiesta io e come si è chiesta anche la Professoressa Ruth Rubio Marìn, come mai l’Unione Europea, e di conseguenza l’Istituto Universitario Europeo, abbiano scelto il tema delle donne come focus per il 2016.

E’, quello attuale, il contesto adatto per porsi la domanda sullo stato delle donne in Europa e nel mondo, vista la miriade di crisi che ci troviamo oggigiorno a fronteggiare? Ma ci potremmo anche chiedere se sia mai stato il giusto momento per porsi la “domanda delle donne”.

Secondo la Rubio sì: questo è il giusto momento per interrogarsi sul ruolo delle donne nella nostra società e nella nostra democrazia, poiché dipenderà da come verrà affrontata la questione delle donne che l’Unione Europea fallirà o vincerà la sfida della democrazia paritaria.

Vi chiederete allora cosa si intenda esattamente con questo interrogativo in Europa, dove le donne hanno formalmente ottenuto gli stessi diritti e libertà degli uomini; dove si sono finalmente cancellate dai nostri ordinamenti le tracce vergognose ed esplicite del patriarcato che per anni hanno reso le donne al pari dei minorenni. Questa la forma. La sostanza, sfortunatamente, racconta una storia diversa. Dice che oggi, in Europa, le donne continuano ad essere un gruppo oppresso.

La filosofa Iris Young scrisse che l’oppressione esiste in qualunque sistema che riduca il potenziale umano dei propri componenti, sia perché li de-umanizza, sia perché non consente loro di raggiungere la propria umanità, sia fisica che mentale. L’oppressione non si manifesta dunque solamente in situazioni di cruenta tirannia, ma anche nelle nostre società liberali che possono opprimere alcuni gruppi limitandone le libertà, non attraverso leggi scritte, ma attraverso consuetudini sociali, atteggiamenti e simboli.

Secondo la Young l’oppressione ha cinque facce: la violenza, lo sfruttamento, la marginalizzazione, la mancanza di potere e l’imperialismo culturale.

Basandosi su questa teorizzazione, sui dati del “Survey on violence against women” della European Union Agency for Fundamental Rights del 2014 e sul “Report on Equality between Men and Women” riportato dall’European Institute for Gender Equality nello stesso anno, la Rubio spiega come ancora oggi le donne in Europa continuino ad essere oppresse.

Violenza Nell’Unione Europea una donna su tre ha sperimentato violenza fisica e/o sessuale almeno una volta prima del raggiungimento dei 15 anni di età, il che comporta quasi 6 milioni di vittime. Una donna su venti (9 milioni di donne) è stata stuprata dopo i 15 anni. Tra il 45% e il 55% delle donne ha subito molestie sessuali e il 18% delle donne ha sperimentato fenomeni di stalking e cyberstalking. Un dato particolarmente preoccupante è che per una donna su cinque questa violenza viene perpetrata per mano dell’attuale o di un passato partner ed ancora più preoccupante è che solo il 14% di queste donne denuncia il suo aggressore. Quindi milioni di donne europee vivono in uno stato di terrore ed oppressione nel proprio contesto familiare, scolastico e lavorativo.

Sfruttamento e Marginalizzazione La percentuale di donne nella forza lavoro è del 63.5% e per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna, con la stessa posizione lavorativa e lo stesso livello di educazione, guadagna 84 cent. Il dislivello salariale è causato dalla generale poca trasparenza riguardo ai pagamenti di quasi tutti i datori di lavoro. Inquietante è anche il dislivello di genere per quanto riguarda le pensioni (38%) o il fatto che una donna su tre non la percepisca affatto.

La segregazione occupazionale relega la forza lavoro femminile nei settori meno remunerativi. E’ molto più facile per le donne che per gli uomini essere lavoratori part-time ed è più facile per loro dover combinare lavori domestici non retribuiti con lavori pagati (26 ore settimanali contro solo 9 per gli uomini). Allo stesso tempo moltissime donne immigrate svolgono lavori a bassa retribuzione e a nero nell’ambito della “cura della casa”, il che impedisce ai paesi in via di sviluppo, da cui queste donne provengono, di ricevere alcun ritorno e quindi di svilupparsi ed educare queste persone. Questo, come sottolinea la Rubio, si chiama sfruttamento e marginalizzazione.

Mancanza di Potere Le donne tutt’oggi rappresentano meno di un quarto dei membri dei consigli aziendali delle maggiori società quotate in borsa. Costituiscono il 28% dei membri eletti di parlamenti e governi nazionali; la nuova Commissione Europea è composta da 19 uomini e 9 donne, solo il 21% dei giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è donna e il consiglio governativo della BCE è composto da 22 uomini e 2, solo 2 donne.

Imperialismo Culturale Alla base delle ingiustizie di genere vi è l’androcentrismo. I valori androcentrici sono infatti espressamente codificati in molte aree della legge, della politica di governo, ma anche dalla cultura popolare, dall’uso della lingua e nelle interazioni di ogni giorno, comprese quelle economiche: i lavori da donne sono, secondo gli stereotipi, quelli più relazionali e che riguardano la cura dell’altro. Lavori, questi, ad alta intensità di mano d’opera e con basso potenziale di aumento di produttività. Il problema centrale, dunque, è che il valore sociale dei lavori di cura degli altri, essenziali al sostegno delle nostre società di mercato e delle nostre economie, semplicemente non è debitamente riconosciuto e valorizzato.

L’Unione Europea ha sostenuto, sin dai Trattati di Roma, la crescita economica e la coesione sociale anche attraverso l’abbattimento delle ineguaglianze economico-sociali, ma purtroppo, ultimamente, l’attenzione verso la parità di genere è divenuta meno prominente e meno adeguata poiché ci si è concentrati principalmente su politiche volte ad affrontare la recente crisi economico-finanziaria. Anche la percezione della crisi riflette l’oppressione delle donne come gruppo. Essa è stata infatti percepita come una crisi maschile, causando così una quasi totale mancanza di attenzione per la gender equality. Nonostante ciò, è possibile notare che la crisi ha portato ad una maggiore uguaglianza nell’ambito lavorativo tra uomini e donne, non attraverso un miglioramento della posizione femminile, ma attraverso un peggioramento di quella maschile. Il calo dell’occupazione ha infatti portato ad una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro, che rende di fatto impossibile un ritorno al modello familiare maschio-centrico nelle economie avanzate. In secondo luogo, le disuguaglianze nell’occupazione si sono in qualche modo livellate grazie alla maggiore presenza di uomini in posizioni lavorative part-time o comunque più flessibili, ai preponderanti tagli nei salari e al deterioramento generale delle condizioni di lavoro.

La Professoressa individua quindi due possibili scenari per l’Unione Europea, ma ci avverte che a suo avviso solo uno, il secondo, potrà portare l’Unione a ricoprire il ruolo che essa stessa si è prefissa come baluardo della democrazia.

Nel primo scenario il neoliberismo e la convinzione che l’economia e le politiche economiche generino benessere e produttività, mentre le politiche sociali siano improduttive e costose, continueranno ad essere i paradigmi dominanti. In questo scenario ci muoveremmo verso società sempre più polarizzate secondo logiche di classe ed etnia: ci sarà un’equalizzazione delle condizioni finanziarie e lavorative tra i meno scolarizzati e specializzati ed immigrati, mentre il gender gap si chiuderà fra i più abbienti, come già è successo negli USA. Le donne meno scolarizzate aumenteranno il loro tempo dedicato a lavori non retribuiti o part-time; le donne più scolarizzate faranno sempre più affidamento su lavori domestici a pagamento o sulla loro condivisione non retribuita con il proprio partner. Quindi, in questo scenario, i più bisognosi, ovvero le donne provenienti da classi sociali inferiori, le donne immigrate, le giovani donne e le madri single, sarebbero le prime a rimetterci: i tassi di fertilità rimarrebbero bassi e le ideologie conservatrici riguardanti la famiglia e il genere persisterebbero, con buona probabilità causando un’ulteriore frattura nell’Unione Europea.

In uno scenario differente, invece, la crisi globale potrebbe essere percepita come l’occasione per uscire dall’attuale modello di capitalismo neoliberale e passare ad un modello più inclusivo di sviluppo, capace di introdurre una prospettiva di genere e di dare valore economico alle attività fuori mercato, compresa la cura della casa e della famiglia. Questa nuova visione porterebbe a un abbattimento degli stereotipi di genere e ad una rappresentanza egualitaria delle donne in tutti gli stadi del decision-making. Ciò significherebbe, finalmente, democrazia paritaria. Per ottenere ciò è necessaria una modernizzazione delle politiche di parità di genere e delle politiche di bilanciamento tra lavoro e tempo libero, il che comporta una maggiore provvidenza sociale, permessi congedo parentale non trasferibili, sia per gli uomini che per le donne, soluzioni lavorative flessibili e incentivi che consentano una condivisione sia del lavoro che delle cure familiari tra donne e uomini.

Solo in questo secondo scenario sarà possibile chiudere il gender gap che a tutt’oggi porta le donne a subire le cinque facce dell’oppressione femminile. Solo in questo secondo scenario sarà possibile sperare di scongiurare il deterioramento delle condizioni della bassa e media classe sociale così come la paura, l’insicurezza, il senso di espropriazione che colpiscono i giovani. Questi sentimenti possono solo portare al fondamentalismo religioso, al razzismo, alla xenofobia, al populismo ed a un esistenza deumanizzante per gli immigrati che si troveranno a pagare le nostre pensioni, a portare avanti la crescita delle nostre popolazioni e a prendersi cura dei nostri figli e dei nostri anziani; e una sorte ancora peggiore per i richiedenti asilo, che affogano nelle nostre. Se queste forze prevarranno, l’Europa avrà perso non solo la sua battaglia per la giustizia e per l’uguaglianza, ma anche le sue credenziali democratiche. È per questo che ora, più che mai, è il tempo di porsi la “domanda sulle donne”.

Alice Perini