Viet rehab: di come rendere produttivi gli scarti umani

Il governo vietnamita è recentemente finito nell’occhio del ciclone per via delle violazioni dei diritti umani che avvengono nei Centri di riabilitazione per tossicodipendenti, cioè nei campi di lavoro in cui, attraverso la produzione di beni di consumo dietro corrispettivo di una paga simbolica, gli internati dovrebbero rendersi utili contribuendo al benessere materiale della società.

Luoghi in cui invece sono spesso soggetti a brutalità, abusi e torture.

Dovrebbe essere già abbastanza indicativo il fatto che i centri di riabilitazione per tossicodipendenti in verità si chiamino “centri detentivi per drogati”. Perché l’idea di fondo non è affatto quella di riabilitare, né di rieducare, né tantomeno di punire. Tanto, cosa vuoi che capisca un tossico? L’idea è separare l’olio dall’acqua, ripulire la società dai residui umani, togliere di mezzo queste mine vaganti, così che quanto meno non rischino di far male a qualcuno. In pratica lo stesso ragionamento che per anni è andato bene per i manicomi, le colonie penali e le caserme di confine.

Foto di Phuoc Tuan per VnExpress
Foto di Phuoc Tuan per VnExpress

Ma per comprendere il problema facciamo un passo indietro e focalizziamo la situazione. L’abuso di sostanze stupefacenti è un fenomeno in ascesa nella gioventù vietnamita, un problema praticamente sconosciuto fino agli anni novanta e che si è acuito con il tempo nonostante gli sforzi per reprimere non solo lo spaccio ma anche il consumo. Il collegamento con il cambiamento della condizione economica generale è evidente, i giovani stanno cambiando stile di vita e quelli che affrontano ambienti di lavoro competitivi assumono sostanze stupefacenti più spesso e in maggior quantità. La droga più comunemente utilizzata in Vietnam è l’eroina, con punte del 70% sul totale della popolazione che utilizza con regolarità stupefacenti e sostanze psicotrope. Anfetamina, metamfetamina, ecstasy e ketamina sono diventate droghe molto popolari tra i giovani. I sondaggi dicono che più dell’80% del campione sotto i trentacinque anni ha usato almeno una di queste sostanze nell’ultimo anno. I papaveri, le piante da cui vengono estratti l’oppio e l’eroina, crescono ancora nelle regioni montuose del Vietnam. Le droghe una volta raffinate vengono trafficate da organizzazioni criminali attraverso il Laos e la Thailandia. Dunque il Vietnam sta affrontando un serio problema con il traffico e lo spaccio di droga, nonostante abbia una delle leggi sulla droga più dure del mondo: coloro che vengano presi con più di 600 grammi di eroina o 20 chili di oppio possono essere condannati a morte. Lo spauracchio di essere considerato il ventre molle dell’Asia trova rimedio in una vecchia cura che funzionò bene in passato per punire gli elementi antisociali, rieducarli ed amalgamare il nuovo paese unito.

L’impronta detentiva dei centri di riabilitazione deriva infatti dai campi di rieducazione che erano stati aperti alla fine della “guerra americana” nel 1975. I funzionari all’epoca credettero che il duro lavoro potesse aiutare una persona a superare i propri errori e a contribuire al bene della società.

Negli anni novanta le politiche di contrasto al problema hanno ricevuto un nuovo slancio durante la campagna per sradicare i “mali sociali”, chiaramente la droga era uno di quelli. Il numero di strutture preposte alla “cura” di questo male è cresciuto fino al 2011, attestandosi su 123 centri di riabilitazione.

Andiamo ora a vedere in che cosa consiste il trattamento.

La terapia del lavoro consiste principalmente nel cucire abiti, fabbricare mattoni o pulire gli anacardi, uno dei prodotti di punta dei centri di detenzione vietnamiti. Il Vietnam è il leader mondiale nell’esportazione di anacardi, soprattutto verso gli Stati Uniti e l’Europa. Gli anacardi sono stati identificati dal governo tra i principali prodotti di esportazione per i prossimi vent’anni. Più di 380.000 ettari di alberi di anacardi sono in fase di coltivazione. Di questi, 130.000 ettari sono piantagioni di nuova costituzione. Gli anacardi sono ora visti come un contributo significativo e strategico per l’economia nazionale. Gli internati in questi centri sono forzati a sbucciare tra i cinque e gli otto chili di anacardi al giorno, il che richiede lo sbucciare intorno ai cinquemila anacardi. Human Rights Watch riporta che il lavoro è pericoloso e doloroso. Gli anacardi producono una resina che causa prurito e bruciore mentre l’inalazione della polvere di scorza di anacardi può provocare irritazione dei polmoni. Neanche a dirlo, raramente sono previsti equipaggiamenti di protezione.

Nei centri di recupero per tossicodipendenti sono internati più di quarantamila tra uomini, donne e bambini. Sì bambini, perché è chiaro che se la madre è una tossicodipendente il figlio non glielo tolgono, glielo fanno allattare e crescere fino ad una certa età perché fuori probabilmente non c’è nessuno che si possa prendere cura di lui e magari la famiglia, anche se c’è, si rifiuta e si vergogna di tenersi in casa un collegamento con una drogata. Poi i tossici, si sa, portano solo problemi, mi dice un’assistente sociale, “quando esce dalla riabilitazione torna a reclamare il figlio e magari quello nemmeno la riconosce, allora lei dà di matto e inizia un giro senza fine in cui tutto il caseggiato deve subire il delirio di una mente offuscata dalle sostanze e ossessionata dalla privazione della prole”.

Il 30% dei dipendenti da droghe da inietto sono affetti da HIV. Secondo i dati del Ministero della Sanità il numero di malati di AIDS collegato all’utilizzo di droghe era di 215.425 nel 2003. L’80% delle internate nelle strutture femminili di Hanoi hanno lavorato come prostitute e di queste, tra il 40 e il 50% hanno contratto l’HIV. Potrebbe significare anche che quello è un segmento più soggetto alle retate della polizia e quindi non stupisce che siano una maggioranza nelle strutture di questo genere e in quelle detentive in generale. Raramente in Vietnam le donne sono responsabili di crimini violenti, più spesso li subiscono. Frequente è, come ho già detto in un articolo precedente, che le ragazze di campagna finiscano loro malgrado nel giro della prostituzione e una volta dentro, che vengano introdotte all’utilizzo di sostanze stupefacenti per resistere a prestazioni e orari lavorativi che eccedono la normale sopportabilità fisica. E’ lo stesso motivo per cui alcuni camionisti sniffano cocaina e ai soldati veniva data l’acquavite prima di uscire dalla trincea.

Foto di Phuoc Tuan per VnExpress
Foto di Phuoc Tuan per VnExpress

E’ stato stimato inoltre che i tossicodipendenti sieropositivi siano poco più del 60% della popolazione detenuta. Ora, la legge vietnamita prevede che i detenuti sieropositivi siano rilasciati qualora i centri non forniscano adeguate cure mediche e Human Rights Watch ha dimostrato che la maggior parte dei centri non offrono alcun trattamento antiretrovirale e neanche assistenza sanitaria di base ai detenuti. La mancanza cronica di dottori è argomento ormai di dominio pubblico.

La gente di solito finisce in queste strutture dopo essere stata arrestata dalla polizia, dopo un periodo di reclusione in un carcere vero e proprio, o “volontariamente” spinti dalle famiglie che affidano i propri cari al sistema nella speranza che provveda realmente ad un trattamento di recupero. Molti internati firmano volontariamente per entrare in quello che loro credono, o sperano, essere un posto in cui dovrebbero essere aiutati a superare i loro problemi di dipendenza, senza sapere in che cosa effettivamente consista il trattamento. Torture, abusi, lavoro forzato, condizioni di vita terribili e mancanza di servizi medici appropriati trasformano rapidamente la riabilitazione in un incubo. Ai pazienti “volontari” non è concesso il diritto di uscire quando vogliono, una volta dentro non possono più andarsene. Gli ospiti dei centri di detenzione sono alloggiati in condizioni decisamente non igieniche. Sia gli adulti che i bambini sono costretti ai lavori forzati e corrono un alto rischio di diventare vittime di violenze ed abusi. I detenuti vengono puniti se non rispettano la loro quota di lavoro. Gli viene negato il bagno per un mese, vengono picchiati con delle mazze, gli viene applicato l’elettroshock, vengono incatenati e sono costretti a restare in piedi sulle punte per più di ventiquattr’ore senza acqua né cibo. Alcuni internati riferiscono di essere stati messi in isolamento fino a un massimo di una settimana in una cella così piccola che sono stati costretti a dormire, urinare e defecare in posizione eretta. Diverse persone, intervistate dopo aver completato il trattamento obbligatorio, hanno dichiarato di essersi sentirsi “inferiori agli animali” dopo aver subito queste cose. Quando si convincono a lavorare di nuovo, spesso vengono messi a lavorare per orari più lunghi di quelli che avevano prima.

Negli ultimi anni stanno diventando più frequenti i tentativi di defezione collettiva e la risposta del governo, invece di provare a comprendere i motivi scatenanti, è stata di inasprire la repressione ed aumentare il periodo di internamento forzato da uno a due anni. In alcune regioni il periodo del trattamento è stato innalzato fino a sei anni.

A maggio nel centro di riabilitazione n.2 di Haiphong, 578 prigionieri armati di spranghe e mattoni hanno sopraffatto le quaranta guardie di servizio e sono evasi, dopo che un loro compagno aveva dato l’esempio riuscendo a fuggire ed incitando gli altri a seguirlo. I fuggiaschi hanno spaccato finestre e danneggiato molte macchine sul loro cammino, incluse quelle della polizia, fino ai pressi del distretto di Kien An. Molti sono stati ricatturati dalla polizia nelle settimane seguenti mentre più di cento sono ritornati al centro da soli, di propria volontà. Perché? Alcuni raccontano di essere stati costretti a lavori ripetitivi per lunghi periodi e che questo abbia causato in loro delle patologie mentali oltre che fisiche, annichilendo la personalità al fine di essere trasformati in automi più governabili e congeniali al processo di produzione, ma assolutamente vulnerabili e incapaci di adattarsi nel mondo esterno una volta rilasciati in libertà. Oltre tutto, un rapporto di Human Rights Watch evidenzia come molti detenuti non siano pagati per il lavoro che svolgono o che siano pagati ben al di sotto del dovuto. Cose come vitto, alloggio ed altre spese sono addebitate all’internato e spesso rappresentano l’intero ammontare di ciò che hanno guadagnato. In qualche caso quando vengono rilasciati sono addirittura in debito con la struttura detentiva. Alcuni hanno lavorato per anni senza essere mai stati pagati. Qui il capitale giunge all’apoteosi: che il lavoratore salariato venisse alienato e derubato di una parte di ciò che produce è probabile, ma a questo punto l’alienazione diventa maniacale, malattia mentalmente invalidante, riducendo delle persone allo spettro di se stesse e il latrocinio è integrale, totale. Non viene cioè solo fatta la cresta su una parte più o meno grande del salario, ma non viene loro riconosciuto proprio nulla, dopo anni di fatica, per arricchire qualcuno che non si è approfittato solo dell’indigenza economica, ma anche del disagio fisico, acuendolo e sfruttandolo.

Una volta un ragazzo è scappato. Nelle condizioni che potrete immaginare non è riuscito ad andare oltre il primo paese che ha trovato. Ovviamente, era riconoscibilissimo. Due giorni dopo è stato ripreso e portato indietro. Gli hanno spezzato le gambe, per punizione. Dovunque gli sarebbe stato messo il gesso, chiunque si sia rotto qualcosa, magari giocando a calcetto o cadendo dal motorino, sa di che cosa sto parlando. Ma giustamente lì non ci sono neanche i cerotti o comunque non ci sono per loro, i tossici, che se la sono andati a cercare e valgono meno di un animale, perché l’animale è umile e produttivo, l’animale non ha vizi, non si droga, casomai lo drogano per farlo produrre di più. Non hanno sprecato il gesso né le mani di un medico per quelle ossa fratturate, tanto gli anacardi si sbucciano bene con le mani anche da seduto. La calcificazione irregolare è la causa principale della sua andatura dinoccolata. Difficilmente deciderà di scappare ancora, sa che non potrebbe andare lontano e per di più adesso sa che il rancio e la branda che ha dentro non ce la farebbe più a trovarla fuori. Chi darebbe lavoro a un invalido, tossicodipendente, forse sieropositivo, che parla poco, balbettando, e che sembra un pazzo?

Detenere qualcuno in queste condizioni e permettere gravi atti di violenza e tortura è considerato un deterrente all’uso di droga. L’intento del governo è di diminuire il numero di dipendenti da droghe da iniezione intravenosa del 30-40% entro il 2020.

Ma la tossicodipendenza è una malattia che richiede cure mirate, comprensione e attenzione ma sfortunatamente nella via vietnamita alla soluzione della questione non c’è compassione, empatia o speranza di redenzione, solo assoluta antitesi e disprezzo nei confronti dei drogati. Pochi, se non nessuno, dei tossici risponderà a questo genere di trattamento e anzi molti probabilmente ritorneranno a drogarsi. Chiaramente chi è stato traumatizzato manifesta una fragilità psicologica oltre che fisica che lo rende più vulnerabile alla tentazione di rifugiarsi in una realtà alternativa e in un certo senso anestetica, priva di consapevolezza e quindi anche di dolore, causata dall’eroina come da altre sostanze psicotrope. Il 97% dei curati nelle strutture di recupero torna a fare uso di sostanze stupefacenti entro un anno dalla fine del trattamento.

Ogni volta che leggo rehab penso alla canzone della buon’anima di Amy Winehouse, che aveva il destino nel nome.  Non so come sono trattati gli alcolisti, se per il loro recupero siano previste le stesse condizioni dei tossicodipendenti. È comunque difficile immaginare che l’approccio adottato verso chi ha problemi di dipendenza da alcol sia diverso, appropriato e terapeuticamente corretto, data la mentalità nei confronti delle dipendenze in generale. Possiamo solo sperare che un giorno le organizzazioni internazionali per il rispetto dei diritti umani, a furia di fare pressione, la influenzino e la cambino. Ci pensavo seduto in un bia hoi mentre rigiravo tra le dita i miei diecimila dong di anacardi da accompagnare alla birra, fino a ieri le avevo sempre chiamate noccioline. Quel ragazzo per non voler più scappare avrà avuto dei motivi molto simili a quegli altri cento rinnegati che sono tornati dai loro aguzzini, perché per brutto che sia, il centro di riabilitazione è quanto di più simile a una casa ci sia per loro, in ogni caso un posto in cui possono sperare di riuscire a mangiare se accettano di essere schiavi, mentre sono completamente inadatti al mondo esterno, che dal canto suo non li accoglie certo a braccia aperte. Sembra che il sistema si sia configurato per provocare una sindrome di Stoccolma collettiva come strumento per garantirsi manodopera gratuita ed ubbidiente.

Carlo Scuderi

Una risposta a “Viet rehab: di come rendere produttivi gli scarti umani”

  1. Un articolo che fa luce su una realtà terribile di cui si sa poco, molto diretto e dettagliato. Complimenti all’autore, che ha descritto ciò che ha “toccato con mano”

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