I fantasmi di Giwa

L’atavico dubbio su quali mezzi siano accettabili pur di raggiungere l’obiettivo si ripropone con il suo inevitabile corredo di cinismo ed oscenità quando l’obiettivo in questione è la liberazione di una parte di territorio nazionale da una potente setta di tagliagole foraggiata da una ricca rete multinazionale del terrore, e per farlo si ricorre all’annichilimento, lo stillicidio e la vessazione dei propri compatrioti (proprio quelli che si dovrebbe proteggere) con determinazione e brutalità non inferiori a quelle del nemico.

Mi viene in mente quella scena di Apocalipse now in cui il colonnello Kurts prova a descrivere l’orrore e racconta di quando ha visto le braccia tagliate dai vietcong ai bambini che aveva vaccinato poco prima. Già, è la caratteristica delle guerre civili: sono fratricide. Non che la cosa sarebbe stata meno riprovevole se le vittime fossero state straniere, è grave piuttosto che siano indifesi, e che siano tanti. Ma cerchiamo di capire a cosa mi riferisco.

Di recente Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui emergono le condizioni precarie in cui versa un campo di prigionia gestito dai militari nigeriani nel quale sono rinchiusi dei sospettati membri di Boko Haram.

Fin qui niente di strano. Non desterebbe neanche scalpore se in un paese povero e lontano, dei presunti terroristi soffrissero qualcosa che in parte nell’immaginario comune è associato alle normali condizioni di vita dei paesi del terzo mondo, e in parte erano proprio i terroristi a perpetrare odiosamente nei confronti delle loro vittime.

La guerra dell’esercito nigeriano contro Boko Haram va avanti da ormai sei anni. In una prima fase i terroristi avevano avuto gioco facile nel nord del paese grazie ad equipaggiamenti sofisticati e finanziamenti dall’estero che avevano ridotto in fuga le forze governative, più numerose ma mal pagate, peggio addestrate e del tutto impreparate al conflitto. Dopo la conquista di ogni cittadina veniva imposta la legge islamica, e chi si opponeva veniva ridotto in schiavitù. Spesso gli ostaggi catturati venivano utilizzati per compiere attacchi suicidi. Secondo Laurent Duvillier, portavoce regionale dell’UNICEF, un quinto di questi erano bambini, tre su quattro femmine. Dal 2014 Boko Haram ha rapito più di duemila donne e bambine per farne cuoche, schiave del sesso, combattenti e attentatrici suicide.1 Creò un certo scalpore il rapimento di 279 studentesse a Chibok nello stato del Borno il 14 Aprile del 2014, tanto da spingere l’opinione pubblica mondiale ad una mobilitazione per il loro rilascio, ma nessuna è mai ritornata a casa. Oggi a chi andasse a Chibok si presenterebbe la surreale scena di un paese senza donne, come chissà quanti nei dintorni. Da quando Muhammadu Buhari è stato eletto presidente, due anni fa, la Nigeria, supportata da Gran Bretagna e Stati Uniti, che stanno impegnando consiglieri militari e risorse nell’ammodernamento degli armamenti e nell’addestramento delle forze di sicurezza, è passata al contrattacco. Il comandante dell’ USAFRICOM David Rodriguez ha dichiarato davanti alla Commissione Difesa del Senato americano che “Boko Haram non possiede un territorio significativo nel nord della Nigeria”.2 Negli stati di Adamawa, Yobo e Borno (quelli del nord musulmano) gli scontri hanno creato danni disastrosi, quando finalmente si potrà passare alla fase di ricostruzione lo stato dovrà investire centinaia di milioni di dollari per risarcire le vittime e ricreare infrastrutture. Peccato che lo stato federale abbia un debito complessivo di 63,7 miliardi di dollari3 e non sia in grado di finanziare una così grande opera di ricostruzione. Per rendere l’idea dell’austerità del momento, almeno diciotto dei trentasei stati della Nigeria non pagano gli stipendi ai dipendenti civili da diciotto mesi. È di questi giorni la polemica tra il presidente Buhari e il primo ministro britannico David Cameron, che si è lasciato sfuggire un commento sui proventi della diffusa corruzione in Nigeria reinvestiti nel Regno Unito, al quale Buhari ha risposto senza smentire “mi auguro che riusciate a provarlo. Così potete tenervi i colpevoli e ritornarci il maltolto”.4

Ovviamente l’asprezza del conflitto è pagata dalla popolazione civile, fatta oggetto di brutalità da parte di entrambe le parti combattenti, dal momento che ognuno può essere un nemico. La guerra ha causato 2,3 milioni di sfollati. La crisi umanitaria ricade soprattutto sui bambini che non hanno parenti prossimi che se ne curino. Inoltre, alcuni di questi sono stati ormai marchiati come complici di Boko Haram perché, forzati durante il periodo di prigionia, ne hanno subito gli abusi.

Dopo l’avanzata dei governativi, un villaggio in mano a Boko Haram è stato sbrigativamente svuotato deportando gli abitanti sospettati di collaborazionismo nella prigione militare di Giwa. Trattasi di famiglie intere con donne e bambini. Dal 2009 sono stati arrestate più di ventimila persone di cui settemila sotto i quindici anni. Le pessime condizioni igieniche, il sovraffollamento, la fame e la disidratazione hanno causato 149 decessi accertati, di cui dodici di bambini tra i cinque mesi e i quindici anni.5

Tuttora, dei milleduecento reclusi nel campo di Giwa, almeno centoventi sono bambini.

Dal 2011 ad ora, riporta Amnesty, più di settemila ragazzini sono morti per fucilazione, tortura, soffocamento o fame sotto la custodia dei militari nigeriani. Invece di aprire un’inchiesta nei confronti degli alti ufficiali in carica al momento dei fatti, lo stato maggiore, nella persona del generale Chris Olukolade 6, ha respinto al mittente le accuse sostenendo che il caso fosse una montatura, un complotto per screditare le forze armate nigeriane, sebbene si veda chiaramente, in un video disponibile su youtube, un soldato nigeriano che uccide un ragazzino in un’esecuzione sommaria.7 Durante il suo discorso di insediamento il presidente Buhari aveva promesso di rivedere le regole di ingaggio per evitare violazioni dei diritti umani.

Per quanto possa sembrare inaudito, l’opinione pubblica nigeriana si sta abituando a questo tipo di notizie. Il sentire comune è che queste misure siano necessarie nonostante siano palesemente ingiuste, che la guerra è così e che per avere la vittoria definitiva bisogna essere disposti a dimostrarsi decisi, persino mettendo in quarantena intere popolazioni sulla base del sospetto, lasciandole al loro inesorabile destino in tempo di carestia.

Carlo Scuderi

1 Beyond Chibok – UNICEF Aprile 2016 http://www.unicef.org/infobycountry/files/Beyond_Chibok.pdf

3 Fredrick Nwabufo su The Cable – Maggio 2016

4 Clive Myrie su BBC – 11 Maggio 2016 http://www.bbc.com/news/world-africa-36270894

5 “If you see it, you will cry”, Life and death in Giwa barracks – Amnesty International 2016 http://mb.cision.com/Public/13179/2005970/a7b36e15b192bee3.pdf

7 Stars on their shoulders, blood on their hands – Amnesty International 2015 https://www.youtube.com/watch?v=poL1GBpKBY8